top of page
  • Immagine del redattore Paolo Cosseddu

Punk prima di te

Aggiornamento: 27 lug 2023


C’è questo documentario uscito alcuni giorni fa, si intitola Nothing Compares e racconta vita e carriera di Sinéad O’Connor, cantautrice irlandese di grande successo fra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, oltre che personaggio estremamente controverso.

Nel veder ripercorrere la storia di un’artista che molti ricordano soprattutto per la sua testa rasata, fa una certa impressione ascoltare spezzoni di così tante interviste rilasciate nel suo momento di massima popolarità quando tutti, invariabilmente tutti gli intervistatori - maschi - che se la trovavano davanti sentivano il bisogno di chiederle perché si fosse tagliata i capelli, arrivando ad augurarsi che le ragazze all’ascolto non facessero la stessa “terribile” scelta. Una questione estetica, che però non era affatto solo estetica, che oggi forse farebbe meno scalpore, ma all’epoca mandava in tilt ciò che l’industria patriarcale dell’intrattenimento pensava di poter pretendere da una pop star, in particolare se donna. Specialmente quando terminò una sua fatale esibizione al Saturday Night Live - che le costò tutto - strappando la foto di Papa Woytila per denunciare i casi di abuso di minori nella Chiesa cattolica: era un argomento di cui all’epoca nessuno sapeva ancora nulla, e non se ne poteva parlare. In Italia si fa fatica a citarlo ancora oggi, peraltro. O quando chiese di non eseguire l’inno americano prima delle sue esibizioni negli Stati Uniti, perché non voleva contribuire all’ondata di patriottismo bellicista che accompagnava l’invasione Usa dell’Iraq. Si fecero roghi dei suoi album, e perché? Perché era contro la guerra, e non si poteva. Non che oggi sia socialmente più accettabile, comunque.


«Mi raso la testa perché non voglio che un uomo mi dica cosa posso o non posso fare di me stessa», dice l’interessata a un certo punto, chiarendo i termini del dibattito: la civilissima e cattolicissima Irlanda in cui era cresciuta, nel cuore dell’Occidente, all’epoca dei fatti e ancora fino a pochi anni fa, era infatti un Paese in cui le leggi dello Stato erano fortemente influenzate dalla religione e da una visione estremamente conservatrice. In cui la donna era monitorata dalla società 24 ore su 24, era sconsigliato che uscisse da sola, non era opportuno che frequentasse locali da ballo, doveva insomma rendere conto di ciò che faceva al padre, al marito, al parroco, al medico, in sostanza agli uomini. In cui esistevano “case”, gestite da religiose, in cui venivano rinchiuse e trattate come malate di mente giovani donne troppo ribelli, che spesso avevano subito abusi e stupri da maschi appartenenti alla loro cerchia sociale, in un contesto in cui la donna non era per la società irlandese dell’epoca la vittima di quegli stupri, ma la colpevole: strutture per l’esistenza delle quali il governo irlandese ha chiesto scusa solo di recente, molti anni dopo.

Una ragazzina con molta voce e la testa rasata - oggi parleremmo di un’immagine gender fluid, ma all’epoca il termine non esisteva ancora - che parlava esplicitamente della condizione femminile e non solo, che diceva “certe” cose, disturbava la visuale, turbava l’ordine costituito, e quindi andava trattata come una matta, una personalità borderline.


E oggi? Oggi nessuno si esime dal solidarizzare con le proteste delle donne iraniane, eppure fioccano analisi della sconfitta elettorale in cui si punta il dito contro il presunto fighettismo di una sinistra che “pensa solo ai diritti civili”, come a dire che si occupa di sciocchezze, e la contraddizione non rileva. C’è sotto un’idea conservatrice, anche quando viene da sinistra, oltre alla convinzione che il progresso sociale viaggi su un binario proprio, che procede autonomamente, e solo in una direzione, andando sempre avanti. Magari fosse così. L’Iran appare lontano, e pazienza se a ben guardare nemmeno la nostra è una società libera, anzi, liberata. Più avanzata, per molti aspetti, ma non così tanto e da così tanto tempo da poterci permettere il lusso di definire i diritti civili un accessorio del benessere, un piagnisteo da bambocci viziati. Le foto delle ragazze di Teheran in minigonna, che fino al 1978 conducevano una vita normale, dimostrano che nemmeno loro pensavano di finire a vivere sotto il giogo di una teocrazia: mezzo secolo dopo le loro figlie e nipoti rischiano la loro vita per cosa, per un capriccio? Forse qualcuno è stato abbastanza fortunato da non vivere tempi simili, o forse se li è dimenticati, ma è meglio tener sempre ben presente che fanno in fretta a tornare. E a quel punto è tardi per ammettere che i problemi non erano affatto “ben altri”.




bottom of page