Abituati come siamo da tre anni agli eventi in "formula mista", ossia in presenza e da remoto, non è stata data l'importanza che meritava al collegamento con cui, da Mosca, il presidente russo Putin è intervenuto al vertice, appena terminato, degli stati BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica).
Nonostante le autorità dello stato ospitante, il Sudafrica, fossero molto tentennanti al riguardo, il pericolo era reale: se fosse stato fisicamente presente al vertice, Putin avrebbe potuto essere arrestato magari su ordine di un giudice sudafricano non allineato alla pavidità del governo locale.
Meglio non rischiare, dunque.
La mancata presenza di Putin al vertice degli stati BRICS è il primo effetto del mandato di cattura emesso dalla procura della Corte penale internazionale a marzo. Dal punto di vista reputazionale, non è poco: ufficialmente, Putin è un "latitante" che rischia l'arresto se mette piede in 123 stati (praticamente, tutta l'Europa e un po' di America Latina e Africa subsahariana) vincolati a rispettare le decisioni della Corte.
Il 17 luglio è stato il venticinquesimo anniversario dell'adozione, a Roma, dello Statuto della Corte penale internazionale. Del cammino fatto in questo quarto di secolo, degli ostacoli in cui si è imbattuta e delle sue stesse incertezze, così delle altre forme di giustizia internazionale di questo inizio di secolo, si parla in "Giustizia senza confini", di Antonio Marchesi e Riccardo Noury.
Vedere Putin costretto a parlare da un teleschermo può essere poco o molto, a seconda dei punti di vista. Ma non c'è alternativa: gli organi della giustizia internazionale sono lo strumento migliore che abbiamo per sconfiggere l'impunità e chiamare a rispondere del loro operato i responsabili di crimini di guerra, crimini contro l'umanità e genocidio.
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