“Il delitto di Matteotti fu il momento in cui si vide chiaramente che il regime di Mussolini era un regime dittatoriale. Fu un punto di svolta. In questo senso Navalny può essere come Matteotti: un momento di presa di consapevolezza e speriamo smuova le coscienze. Spero che Navalny sia Matteotti con una differenza rispetto al 1924: allora l’Italia prese coscienza del regime dittatoriale di Mussolini che durò altri venti anni. Oggi spero che per il popolo russo quanto accaduto sia una svolta”.
Queste le parole del senatore del PD Filippo Sensi, già deputato nella precedente legislatura, già capo ufficio stampa di Matteo Renzi alla sua elezione a segretario del PD nel 2014, già portavoce di Renzi presidente del Consiglio dei ministri (incarico proseguito con Gentiloni).
Quindi dovrebbe essere lo stesso Filippo Sensi che nel giugno 2016 sarà sicuramente stato a fianco di Renzi durante la sua visita in Russia per firmare accordi per oltre un miliardo di euro “accordi legittimi nel quadro delle sanzioni perché noi rispettiamo tutte le regole”.
“Noi stiamo lavorando per costruire ponti, questo è l'obiettivo dell'Italia, l'Italia pensa che serva il dialogo e non la chiusura”, diceva Renzi con parole magari suggerite dallo stesso spin doctor, perché questo era il suo lavoro, e ancora: “Certo, la questione Ucraina ci divide e noi tutti pensiamo che gli accordi di Minsk siano da rispettare, ma pensiamo che vadano colte tutte le opportunità di dialogo", e poi "Pacta sunt servanda: abbiamo fatto sforzi per arrivare al protocollo di Minsk, tutti, dico tutti, devono rispettare gli accordi. L'Europa e la Russia hanno valori condivisi e sono valori che io, caro Vladimir, tocco con mano prima che nelle intese con le aziende anche nella visita all'Hermitage dove mi sono sentito sommerso dalla bellezza dei valori universali. Noi abbiamo bisogno di considerare che la parola 'guerra fredda' non può stare nel vocabolario del XXI secolo, è fuori dalla storia e dalla realtà e prima che ingiusto è inutile. Ue e Russia tornino ad essere ottimi vicini di casa" (curioso come siano parole molto simili a quelle riservate ai nuovi regimi con cui privatamente collabora).
Quindi non solo nel 2016 la questione Ucraina era già sul tavolo (nel Donbass si combatteva dal 2014), ma Putin aveva già raso al suolo la Cecenia violando ogni convenzione internazionale, era già stato accusato per l’omicidio Litvinenko con il polonio e per quello della giornalista Anna Politkovskaja nel 2006, aveva già attaccato la Georgia per i territori dell’Ossezia con una modalità simile a quella poi adottata con l’Ucraina, aveva già sostenuto Assad in Siria, insomma un’idea sul suo modello di democrazia e di politica estera non era difficilissimo farsela.
Eppure era un ottimo partner commerciale, pur senza il rapporto di amicizia da maschi alfa che aveva con Berlusconi, e non solo per Renzi, ma anche per tutti i governi che avevano stipulato accordi sulle forniture di gas, compreso quello di Enrico Letta nel 2013.
Perciò certamente Salvini, che è sempre stato molto vicino alla Russia, come del resto Meloni, fa molta fatica a condannare l’omicidio di Navalny, ma gli altri non sono da meno, se solo si usasse la memoria.
E quindi oggi il copione prevede una manifestazione bipartisan, una fiaccolata per ricordare Navalny, dove non si può non andare altrimenti si è “putiniani”.
Il paradosso quindi è non solo che quando conveniva “putiniani” lo erano praticamente tutti, ma anche che si andrebbe a ricordare un politico dissidente paragonato a Matteotti insieme a quelli che tengono in casa il busto di chi Matteotti lo perseguitò e lo uccise, seppur non direttamente, e magari, ma solo alle commemorazioni come consente la Cassazione, salutano come lui.
Ora, l’omicidio di Navalny, perché di questo si tratta, è un fatto politico e umano gravissimo che va condannato con la massima nettezza, anche se non si condividono le sue idee (molto diverse da quelle di Matteotti, per inciso) perché è l’omicidio di un oppositore politico incarcerato per motivi politici, e dimostra per l’ennesima volta come la Russia non sia uno stato democratico, ma totalitario.
E tuttavia, non si può non vedere l’ipocrisia di tutti quelli che oggi avranno la fiaccola in mano, solo perché è cambiata la situazione politica, non certo la natura e le azioni di Putin.
La posta in gioco, invece, è rilanciare una politica di guerra, ritenuta inevitabile (ovviamente per colpa di Putin) e quindi spostare l’opinione pubblica verso spese in armamenti e difesa, far accettare al popolo che non riesce più a pagare il mutuo e a fare la spesa che sono necessari altri sacrifici, magari anche la vita dei nostri figli, perché sono in gioco la libertà e i valori dell’occidente.
Ed è vietato, e tutti se ne guardano bene, avere una posizione politica articolata che condanni fermamente l’omicidio politico, per di più di una persona incarcerata, e spedita nel circolo polare artico, e rimanga in questo ambito, senza paragoni offensivi verso quella che dovrebbe essere la propria stessa parte politica.
Anche perché il delitto Matteotti avvenne all’inizio della vicenda dittatoriale di Mussolini, e ne segnò con i fatti la vera natura che sarebbe proseguita fino alla Liberazione, mentre questo omicidio di Stato arriva, invece, alla fine di una lunga storia, costellata di altri omicidi e di pratiche diffusamente illiberali, che da decenni è sotto gli occhi di tutti.
E pare sia conseguentemente vietato mantenere un pensiero che continui ad essere contrario al riarmo e alla guerra, che non risolvono affatto i problemi, indipendentemente dalla natura autoritaria e criminale degli interlocutori.
Ecco, questo preoccuperebbe molto Giacomo Matteotti.
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