Mentre l’ipocrisia più totale accompagna le morti nel Mediterraneo, con l’indignazione temporanea che non porta ad alcun cambiamento sostanziale nel vergognoso governo dell’immigrazione che proprio su queste morti e sulle sistematiche violenze si basa, si fa un gran stra-parlare di razza, di etnia e di italianità, in questo periodo oscuro del nostro dibattito pubblico.
Per chi vuole ragionare diversamente e indagare la società nella quale viviamo, consigliamo il libro di Camilla Hawthorne, Razza e cittadinanza, appena pubblicato dalle edizioni Astarte.
Fin dalla prefazione di Marilena Umuhoza Delli si coglie l’urgenza di aprire una discussione che superi un muro di pregiudizi e di riflessi suprematisti, a volte dichiarati, spesso inconsapevoli.
Il lavoro di Hawthorne si sviluppa in una ricerca lunga sette anni, attraverso l’Italia afrodiscendente, analizzando la nerezza e la bianchezza nella storia del nostro paese e la loro presenza nella nostra cultura.
Mentre là fuori è tutto “minaccia”, “invasione” e immigrazione “fuori controllo”, Hawthorne mette in fila le questioni che riguardano la presenza nera in Italia, all’interno di un quadro legislativo che rispetto alla cittadinanza è tra i più restrittivi d’Europa e che, dal punto di vista politico-culturale, mentre cresceva la presenza di residenti e di cittadini neri (benché in numero inferiore rispetto a persone provenienti da paesi come l’Albania e la Romania), ha conosciuto una notevole regressione.
La penosa vicenda che ha riguardato lo ius soli, diventato ius culturae e poi ius scholae senza peraltro giungere mai a una riforma, non ha fatto altro che rimandare e peggiorare le cose, in un paese in cui ha ripreso vigore il nazionalismo razziale in ragione del quale si dà per scontato che l’italiano sia bianco e che perciò chi non lo è possa essere italiano solo “fino ad un certo punto”.
La parte più interessante del libro si incontra quando Hawthorne indaga la storia della nerezza in Italia, rilevando come da Lombroso a Mussolini – almeno fino alla metà degli anni Trenta –, la questione della razza fosse parecchio complicata per gli italiani stessi, tra Nord e Sud del Paese, tanto che lo stesso dittatore affermò, nel 1932, che «sono felici mescolanze di razze che donano forza e bellezza alla Nazione». Un punto di vista molto diverso dalla purezza e dalla bianchezza che oggi qualcuno, sulla base della stessa tradizione, vorrebbe rivendicare.
Era il retaggio dell’antica Roma e di uno sguardo mediterraneo che facevano pensare all’Italia come ponte culturale e quindi anche “razziale” verso i paesi africani. Le cose cambiarono con la campagna coloniale in Etiopia e poi precipitarono con le leggi razziali del 1938. Dopo un lungo periodo di amnesia rispetto alla questione, la percezione della nerezza è tornata di attualità con i movimenti migratori degli ultimi trent’anni.
Ora è evidente che ci troviamo di fronte a un paese che intende difendere se stesso senza conoscersi davvero, rivendicando qualcosa che non è e che non è mai stato, senza darsi alcuna prospettiva politica di senso compiuto per gli anni a venire.
Comments