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  • Immagine del redattoreSilvia Cavanna

Quella volta che Salvini voleva costruire una centrale nucleare a Milano



Dopo aver pontificato sull’Intelligenza Artificiale, dopo essersi scagliato contro le auto elettriche, Matteo Salvini continua la rassegna delle uscite assolutamente non pertinenti al suo ambito di competenza (qualunque esso sia) parlandoci di nucleare.

Intervenendo al convegno “iWeek – Nucleare, si può fare?”, il ministro delle infrastrutture e dei trasporti ci racconta che vorrebbe un reattore di ultima generazione nella sua città (Milano), perché fermamente convinto che si tratti di energia pulita, sicura, e costante. Se possibile operativo entro il 2032.

Tralasciando la più che lecita domanda sul perché Salvini non si limiti a fare il proprio lavoro, non è comunque il primo dell’attuale compagine di governo ad esprimersi sul tema. Qualche settimana fa, in una nota diffusa al termine del primo incontro della Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile, il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Pichetto Fratin auspicava piccoli reattori costruiti nelle aziende italiane e affermava di voler “valutare le nuove tecnologie sicure del nucleare innovativo quali gli Small Modular Reactor (SMR) e i reattori nucleari di quarta generazione (AMR)”.

L’idea, quindi, sembra essere quella di voler puntare sul nucleare di quarta generazione. La questione è che il nucleare di quarta generazione, di fatto, ancora non esiste, mentre i problemi legati alla crisi climatica ed al fabbisogno energetico del Paese sono tragicamente reali.


A voler essere precisi, in realtà, di reattori nucleari di quarta generazione (definizione un po’ evasiva che va ad indentificare sistemi temporalmente più nuovi e realizzati con tecnologie diverse rispetto a quelli attualmente in funzione) si parla sin dai primi anni 2000, cioè dalla fondazione da parte del Dipartimento dell’Energia statunitense del Generation IV International Forum, un organismo di cooperazione internazionale cui partecipano molti Paesi, fra i quali anche l’Italia. Sin dalla sua nascita, l’obiettivo dichiarato del GIF era, infatti, quello di “sviluppare la ricerca necessaria per testare la fattibilità e le prestazioni dei sistemi nucleari di quarta generazione e renderli disponibili per l’impiego industriale entro il 2030”. Ecco.

Alla data attuale, non sono stati fatti grandi progressi: al momento non esistono reattori di quarta generazione operativi, ma solo alcune sperimentazioni. È sicuramente possibile che alcune di queste – comprese quelle relative ai generatori raffreddati a piombo, che rappresentano la quasi totalità delle attività di ricerca e sviluppo nel settore, in Italia – diventino commerciali nel giro di 20-25 anni, tuttavia, se il nostro obiettivo è raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, appare evidente che permanga un significativo problema temporale. Cioè i reattori nucleari di quarta generazione potrebbero arrivare in soccorso del clima quando ormai per il clima è troppo tardi.

Per quanto riguarda gli Small Modular Reactor (SMR), la situazione non è molto migliore. Si tratta di reattori nucleari modulari e di più piccole dimensioni (la denominazione inglese fa figo, ma si riferisce solo alla taglia del sistema e non alla tecnologia impiegata) di cui si parla già dagli anni Ottanta con l’idea di poterli costruire in fabbrica ed assemblare in loco, riducendo i tempi di produzione rispetto ai reattori standard (ma non i costi, come la pratica sta finora dimostrando).

Il fatto che siano piccoli, comunque, non implica che siano forieri di minori criticità rispetto alle grandi centrali: volendo sostituire una quota significativa del fabbisogno energetico nazionale, sarebbero necessari parecchi SMR diffusi sul territorio, con un controllo molto più complicato rispetto a quello di un’unica centrale, senza contare gli ostacoli per ottenere le autorizzazioni necessarie all’installazione da parte delle varie comunità locali coinvolte.

Rimane, poi, il sempiterno problema della gestione delle scorie radioattive. Nella relazione annuale trasmessa a fine agosto a governo e parlamento, l’Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare sottolinea come permanga ancora incertezza circa i tempi di realizzazione del Deposito Nazionale dei Rifiuti Radioattivi e, conseguentemente, su quanto tempo e quali investimenti (a carico della collettività) continueranno a essere necessari per gli interventi di adeguamento e per la realizzazione di nuovi depositi temporanei. Su questo aspetto Pichetto Fratin, intervistato da Repubblica, fa un paragone che mette i brividi: “Nessuno vuole le scorie vicino casa, ma poi quando si porta un familiare in ospedale a fare una PET non ci si pone il problema di come verranno gestiti i rifiuti radioattivi generati da quell’esame clinico”. Come se i tempi di decadimento e le quantità di rifiuti radioattivi prodotti dalle PET non fossero assolutamente irrisori se confrontati con quelli provenienti dalle centrali nucleari.


Le soluzioni per sostenere la transizione energetica del Paese già le abbiamo, ed è su queste che occorre investire: e il dibattito sul nucleare, peraltro, sembra proprio servire a ritardarle, procrastinando sine die l'abbandono delle fossili. Quella che senza il nucleare le rinnovabili non ce la facciano è una visione inaccurata, poiché non tiene conto di alcuni aspetti importanti: che si stanno sviluppando sistemi di accumulo dell’energia a lungo termine in modo da poter sopperire alla non programmabilità delle fonti rinnovabili e, soprattutto, che già oggi si può puntare ad un nuovo paradigma di produzione e trasmissione dell’energia elettrica, estremamente flessibile e distribuito sul territorio, grazie alle smart grid – reti elettriche digitalizzate che utilizzano la tecnologia per monitorare e regolare, in modo dinamico ed in tempo reale, il trasporto dell’elettricità proveniente da tanti sistemi di generazione green decentralizzati (anche di piccola taglia) consentendo di gestire capillarmente surplus e deficit energetici.

Siamo nel pieno di una crisi climatica e siamo molto vicini al punto di non ritorno, benché i nostri governanti negazionisti continuino a dire a reti unificate che non è vero. Occorre proteggere il clima ora, non fra 20 o 30 anni. Occorre dedicare tempo e risorse alle tecnologie già disponibili, non aspettare quelle che potrebbero arrivare in futuro.

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