Viaggio, corpi, responsabilità
Viaggio, corpi, responsabilità
Continuo a pensare a queste tre parole, come fossero un mantra. Le penso dalle cinque del mattino mentre attendo il pulmino a piazzale Ostiense di Roma. Direzione: Steccato di Cutro. Da Milano sono partiti alle 20:30 del giorno prima, da Bologna alle 22. Ci sono altri pulmini, treni e macchine che trasportano persone da tutta Italia.
Mentre sono sul pulmino con queste tre parole che mi ronzano in testa, continuano ad essere estratti corpi dal mare. Da Alarm phone arrivano notizie di imbarcazioni in distress. Cinquecento vite in pericolo al largo della Sicilia. Altre 47 vite in pericolo al largo della Libia che ieri mattina sono naufragate e disperse.
In mare c’è tutto questo, corpi e viaggi.
Matteo Salvini e Giorgia Meloni invece sono al Karaoke.
Arrivo a Cutro. Siamo in migliaia. Per le 15 iniziamo a camminare verso la spiaggia con rose e tulipani in mano. Camminiamo circondate dagli ulivi e immerse in un silenzio irreale. In cima al corteo c’è la croce fatta di pezzi della barca che il mare ha riportato. Le persone si danno il cambio per portarla. Noi, la società civile, ci portiamo addosso la croce dei nostri confini mortali.
Camminando mi appaiono sullo schermo del telefono le notifiche dell’Ansa. Ore 15:52 recuperata un'altra vittima, è un adulto. Ore 16:59 recuperata un'altra vittima, è una bambina. Anche ora mentre scrivo arriva una notifica dell’ANSA. Ore 12:37 recuperata un'altra vittima, è un bambino.
Vittima, persone, adulto, bambina. Corpi. La prima strategia dei confini è togliere i nomi e le storie. Non ci rimangono che alcuni dati anagrafici: sesso e presunta età. Ci rimangono i numeri e i discorsi propagandistici su invasioni e emergenze per non parlare di esseri umani. La prima strategia dei confini è togliere l’umano.
Quando il corteo si ferma sulla spiaggia i familiari delle vittime parlano. In molti ringraziano l’Italia, l’Italia di Cutro mi viene da dire. Anche nella strage trovano un motivo per dire grazie. Un superstite siriano racconta del fratellino di sei anni che non è riuscito a salvare. Dice: «Nostra madre l'aveva affidato a me, vivrò sempre con questo dolore». Il cuore va in frantumi pensando che nessuno si dovrebbe mai sentire addosso questa responsabilità.
Intanto, i fiori che abbiamo in mano piovono uno a uno sulle onde in riva alla spiaggia. In poco tempo la sabbia è piena di fiori, pupazzetti e persone sedute che fissano le onde in silenzio.
Quando il sole inizia a tramontare mi avvicino a un signore afgano. È il cugino di una delle vittime. Mi dice che suo cugino era una persona che metteva la sua famiglia davanti a tutto. Anche quella notte aveva aiutato la moglie a salvarsi, poi col figlio più piccolo in braccio si era perso tra le onde che lo hanno restituito alla spiaggia senza vita. Il bambino è ancora disperso. Anche questo signore mi dice grazie. Non capisco perché mi stia ringraziando ma non rispondo, scoppierei in lacrime e non voglio farlo davanti al suo sguardo fermo e gentile che chiede solo che suo nipote possa essere ritrovato.
Di ritorno verso il pulmino penso che dopo oggi i superstiti - tutti, non solo quelli di Cutro - verranno portati nei CARA o CPR, vivranno in condizioni disumane, si imbatteranno ogni giorno in cavilli burocratici infiniti in una lingua che non conoscono, saranno ancora vittime di violenza perché del resto rimangono dei migranti “irregolari”.
Poi penso al consiglio dei ministri accanto a quelle tre parole “viaggio, corpi, responsabilità”. Penso a come siano riusciti a dar vita all’ennesimo decreto mortale nel luogo della strage. Penso al fatto che nessuno di loro abbia parlato con le famiglie delle vittime. Non hanno prestato omaggio ai corpi. Non si sono presi alcuna responsabilità.
Quella responsabilità ce la siamo presa noi. L’altra Italia non rappresentata da queste cariche istituzionali. Quella che viaggia per chilometri a proprie spese per non lasciare sole le persone. Per non lasciarci sole.
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