Forse non ci si sta rendendo conto che sta succedendo una cosa gigantesca: è la prima volta che le italiane e gli italiani che siamo abituati a chiamare "nuovi" sono protagonisti della vita politica del Paese. Con la raccolta firme per il referendum sulla cittadinanza (www.referendumcittadinanza.it), promosso da numerose associazioni (e cinque partiti: +Europa, Possibile, Radicali Italiani, Prc e Socialisti), per la prima volta si sono imposti come soggetti politici e non solo come oggetto delle nostre speculazioni.
La proposta di referendum intende modificare una legge del 1992: è da allora che ci siamo trascinati in un dibattito sempre difensivo, in cui la questione da discutere era rappresentata soltanto dalla “sicurezza” e le leggi che venivano di volta in volta approvate, di conseguenza, erano sempre peggiori per gli stranieri, per colpa di una sinistra che non lo era e di una destra che su questi temi era già estrema quando c’erano Bossi e Fini.
Dopo trent’anni e passa, molte delusioni sulla questione dello ius (prima soli, poi culturae, poi scholae), finalmente si parla politicamente in termini positivi della presenza degli “stranieri” sul territorio italiano, migliorando la legge per arrivare alla richiesta della cittadinanza e rendendo possibile per molti minori il riconoscimento della cittadinanza prima del compimento della maggiore età.
In tutto ciò, molti di loro – che poi sono molti di noi, perché non sono stranieri ma italiani, accidenti! – sono al centro di questa raccolta di firme.
Ci sono le intellettuali e le attiviste afrodiscendenti, c’è Ghali, ci sono gli amministratori locali che hanno famiglie d’origine non locali, ci sono lavoratrici e lavoratori che sono arrivati da ogni confine, ci sono le ragazze e i ragazzi che studiano e che vivono in Italia e che finalmente hanno una voce forte e piena che viene ascoltata e riconosciuta.
Non è un caso che del referendum le tv e i giornali abbiano parlato pochissimo: il cambiamento di paradigma è insostenibile per chi ancora si limita a contare gli sbarchi (e, ma solo a volte, i morti, innumerevoli) quando si parla dell’Italia di oggi e del futuro. Senza riconoscere l’evoluzione che c’è già stata, nella nostra vita sociale, a cui la politica dovrebbe finalmente dare rappresentanza.
In una delle ultime campagne elettorali a cui ho partecipato avevo chiesto alla lista di cui facevo parte di rivolgerci direttamente a chi aveva preso la cittadinanza negli ultimi vent’anni, milioni di persone che nessuno sembrava interessato a rappresentare. Mi risposero che era meglio di no, che si sarebbero persi molti voti degli italiani “tradizionali”.
Mi sono sempre ribellato a questa logica e ho continuato a sperare che prima o poi succedesse che fossero loro (cioè noi, ancora una volta) a prendere parola: è successo e ne sono immensamente felice.
Da "Stranieri per sempre" a "Italiani per scelta" è un grande, straordinario passo avanti. Per la politica e per la civiltà del nostro Paese.
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