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Immagine del redattore Paolo Cosseddu

Referendum cittadinanza, un trionfo che rompe il silenzio generale



Alzi la mano chi fino a ieri non aveva visto nemmeno un giornale, media, telegiornale o comunque organo d’informazione parlare del referendum sulla cittadinanza. Oggi ne parlano tutti, e oggi, o comunque a breve, la raccolta delle firme supererà la soglia richiesta delle 500mila firme.

L’iniziativa era partita ufficialmente lo scorso 6 settembre, con il deposito del quesito, cui sono seguite le fasi di attivazione materiale della pagina dedicata sul sito del ministero della Giustizia, quella dove si può firmare elettronicamente con lo Spid. Era uscito qualche lancio, con la foto dei partiti, delle associazioni e dei proponenti: ne aveva scritto per noi su Ossigeno Francesca Druetti, che era presente nel suo ruolo di Segretaria di Possibile. In quei primi giorni, la raccolta ha faticato, e sui media è calato il silenzio mediatico, peraltro accompagnato da quello delle grandi organizzazioni e dei partiti di sinistra che non erano tra i proponenti. La campagna si è sviluppata online, sui social, mentre i volontari si sono mossi di persona andando a cercare potenziali volti noti agli eventi pubblici. Verso la fine della scorsa settimana, improvvisamente, qualcosa è cambiato, le firme hanno preso a salire con una certa velocità, ed è stato quello, il momento decisivo della campagna: più persone firmavano, più condivisioni arrivavano sui social, più influencer si univano al coro, portando in dote i loro numerosi follower, un effetto valanga, esponenziale. Mille firme ogni ora, che sono poi diventate tremila, poi cinquemila, fino alle oltre diecimila ogni 60 minuti registrate nei momenti di picco tra oggi e ieri. Al netto, ovviamente, dei gravi disservizi fatti registrare dal sito ministeriale, con un blackout di oltre tre ore ieri pomeriggio e un altro meno grave ma comunque scandaloso in serata.


Sempre ieri, raggiunta e rapidamente superata la boa delle 250mila firme, improvvisamente i media si sono accorti dell’esistenza del referendum, e con loro anche una serie di esponenti che avevano accuratamente evitato di parlarne fino a quel momento. Sui siti d’informazione, nel giro di poche ore, è uscita una pioggia di articoli, tutti abbastanza simili tra loro, specialmente nel dimenticarsi di citare correttamente i soggetti promotori del quesito, più concentrati sui firmatari illustri che però, nella quasi totalità dei casi, erano arrivati quando il referendum stava già galoppando. E oggi ne riparlano, aspettando il momento in cui si potrà annunciare il raggiungimento del risultato.

Come sempre, la vittoria ha cento padri mentre la sconfitta è orfana, ma questa campagna ha dimostrato empiricamente alcune verità che erano già chiare da sempre: su un piano più strettamente pratico, che la classe dirigente di questo Paese ancora non ha capito le potenzialità dell’online, c’è un problema profondissimo e preoccupante, con riflessi non solo, come in questo caso, per la democrazia, ma anche per lo sviluppo economico e culturale dell'Italia; secondo, che la stessa classe dirigente di cui sopra non sa leggere la realtà, si guarda bene dal muoversi su certi terreni, come è considerato in questo caso quello della cittadinanza, per la paura che non sia condiviso e popolare. O magari perché vuole intestarsene la primazia, per poi un giorno, un domani, chissà, farci persino qualcosa: campa cavallo. Per fortuna, però, a quanto pare un’altra Italia c’è eccome.

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