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  • Immagine del redattore Paolo Cosseddu

Riaprire la partita


“Veramente gli elettori dell’Alaska hanno scelto questo? Maddai!”: il video della reazione di Sarah Palin, sconfitta nella “sua” Alaska nella corsa per un seggio alla Camera, è nel suo stile, ovvero fin troppo genuina. I repubblicani erano dati in vantaggio, in misura tale da considerare il risultato piuttosto scontato. Invece, non solo il pronostico si è ribaltato, ma come se non bastasse è successo per mano di una “nativa”, Mary Peltola. Nelle elezioni americane di metà mandato si gioca il destino della seconda parte della presidenza Biden, perché solo una maggioranza – robusta – nelle due Camere consentirebbe ai Dem di legiferare su una serie di temi su cui i Repubblicani fanno gran conto: dall’aborto al possesso di armi da guerra, dall’accesso al voto, di persona e postale, alla limitazione del gerrymandering, che consiste nel ridisegnare i confini dei collegi elettorali in modo da favorire le minoranze conservatrici nei singoli Stati.


Un’impresa considerata disperata, fino a qualche mese fa, soprattutto con un Presidente in carica molto basso nel gradimento. Ma poi le cose hanno iniziato a cambiare, soprattutto grazie a due fattori: la decisione della Corte Suprema di ribaltare la sentenza Roe contro Wade, che negli ultimi anni aveva protetto il diritto di aborto a livello federale, e la commissione di inchiesta sui fatti del 6 gennaio 2021, che ha fatto emergere un diretto coinvolgimento di Trump e del suo staff in quello che a tutti gli effetti fu un tentativo di colpo di Stato. La recente perquisizione dell’Fbi nella residenza di Mar-A-Lago, da cui è emerso che l’ex presidente si era “portato a casa” una serie di documenti top secret, porta molto probabilmente dritto a un’incriminazione, e persino alcuni ambienti fin qui fedelissimi trumpiani, a partire da Fox News, hanno iniziato a prendere cauta distanza. Nel frattempo, i democratici hanno dovuto riflettere se continuare a tenere nei confronti dell’ultradestra un atteggiamento più o meno duro. Si sono insomma fatti una domanda molto simile a quella che ha attanagliato la sinistra italiana nei primi vent’anni della Seconda Repubblica: limitare il confronto a un livello puramente politico o parlare apertamente di attentato ai poteri dello Stato, con la paura di esagerare e di favorire così indirettamente la vittimizzazione dell’avversario?


Nel discorso tenuto due sere fa all’Independence Hall di Philadelphia, l’edificio in cui venne discussa la Dichiarazione d’Indipendenza, per l’occasione illuminata con i colori della bandiera, Biden ha deciso di tener conto del clima di mobilitazione e preoccupazione che sta montando, e ha scelto la mano pesante: «Uguaglianza e democrazia sono sotto assalto – ha detto – facciamo a noi stessi il piacere di non fingere che si tratti di altro. Così, questa sera, sono venuto qui dove tutto è iniziato per parlare nel modo più semplice possibile alla nazione della minaccia che affrontiamo, e del potere che abbiamo nelle nostre mani per affrontarla». «Troppe cose che succedono oggi nel nostro Paese non sono normali: Donald Trump e il Maga – Make America Great Again, il movimento che supporta Trump – rappresentano un estremismo, che minaccia i principi stessi della nostra Repubblica». E ancora: «Questa è una nazione che rispetta libere e regolari elezioni. Noi onoriamo il volere del popolo. Noi non lo neghiamo». «Non c’è posto per la violenza di stampo politico in America. Punto. Nessuna, mai. Non possiamo essere a favore degli insorti e a favore dell’America, sono incompatibili. E la democrazia non sopravvive quando una parte crede che sono possibili solo due risultati alle elezioni: o la vittoria, o che elezioni siano state truccate».


Non proprio “Sleepy Joe”, come lo chiama Trump per dipingerlo come un debole anzianotto. Che, recentemente, ha iniziato a riferirsi ai supporter trumpiani come “semi-fascists”, cosa che i diretti interessati non hanno affatto gradito. Ma, questa è la cosa interessante, stiamo parlando di un vecchio arnese della politica, non certo di un barricadero. Un Presidente che proviene dall’ala moderata dei Democratici, molto diverso da Sanders o da Ocasio-Cortez. Che però a un certo punto ha capito una cosa: che il perenne inseguimento del moderatismo, di fronte alle manifestazioni del fascismo che si sono fatte avanti nelle democrazie occidentali in questi anni, non funziona. Che servono scelte radicali, fatte di parole, e anche di fatti. Che a furia di normalizzare, una mattina ci si sveglia e ci si ritrova con le leggi razziali. I moderati di cui sopra, ovviamente, non concorderebbero con questa analisi, ma il fatto è che in America, guarda un po’, forse sta funzionando. Dimostrando la volontà di fare davvero qualcosa, mettendo mano a questioni che sono rimaste aperte per decenni e che sono fin qui sempre state affrontate in modo timidissimo, proprio per non spaventare i moderati di prima, e chiamando le cose col loro nome. Certo, difficile dire come andrà a finire, ma intanto si sta riaprendo una partita che tutti davano per persa, persissima, fino a pochi mesi fa. Vi ricorda niente?




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