Un paio di giorni fa Bernie Sanders ha presentato al Senato degli Stati Uniti una risoluzione per fermare l'invio di armi a Israele: "gli Stati Uniti devono porre fine alla loro complicità in questa atrocità", ha dichiarato. Parole che assumono un peso ancora più considerevole, alla luce dei massicci bombardamenti che l'esercito israeliano ha lanciato venerdì su Beirut. Ieri Netanyahu e il suo governo hanno usato toni giubilanti nel commentare la morte del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, raggiunto dai missili israeliani nel suo bunker nei sotterranei della capitale libanese, ma non hanno speso una parola per commentare l'altissimo e ingiustificabile prezzo di questo obiettivo, come al solito pagato dalla popolazione civile: 700 morti, migliaia di feriti, 1200 sfollati e un intero quartiere raso al suolo, secondo fonti ONU. Un dato che va aggiunto alle oltre 40mila vittime di Gaza dal 7 ottobre a oggi, una cifra quasi certamente destinata a salire e di cui, come lo stesso Sanders ha ricordato, gli Stati Uniti sono complici:
"Israele aveva chiaramente il diritto di rispondere all'orribile attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, che ha ucciso 1.200 israeliani innocenti e preso centinaia di ostaggi. Ma il governo estremista del primo ministro Netanyahu non ha semplicemente dichiarato guerra ad Hamas. Ha dichiarato una guerra totale contro il popolo palestinese, uccidendo più di 41.000 palestinesi e ferendone più di 95.000, il 60 percento dei quali sono donne, bambini o anziani. Netanyahu ha bombardato ospedali e scuole, fatto morire di fame bambini, distrutto infrastrutture e alloggi e reso la vita invivibile a Gaza. Gli Stati Uniti devono porre fine alla loro complicità in questa atrocità."
Come lo stesso Sanders ha ricordato, i numerosi richiami di Biden a una de-escalation del conflitto sono stati tutti platealmente ignorati da Netanyahu, che al contrario sembra del tutto intenzionato a trascinare l'intero Medio Oriente in una guerra le cui conseguenze non potrebbero che essere catastrofiche. Affrontare una questione di tale portata dal punto di vista del calcolo elettorale, analizzare quale sarebbe la mossa più conveniente per i democratici in vista delle elezioni del 5 novembre, è un esercizio di cinismo amorale cui non ci si può prestare, e potrebbe inoltre rivelarsi un calcolo tanto vergognoso quanto erroneo. Ad esempio, le numerose e storicamente democratiche comunità di religione islamica o di origine araba del Michigan - uno degli stati considerati cruciali per la prossima tornata elettorale - mostrano una crescente delusione per la gestione della questione israelo-palestinese da parte del Presidente, al punto che - rivela il New Yorker - molti elettori sarebbero pronti a voltare le spalle a Kamala Harris e votare per la candidata del Green Party, Jill Stein, o addirittura per Donald Trump.
Quel che è certo è che invocare il cessate il fuoco mentre il Congresso approva l'ulteriore invio a Israele di armamenti per un valore di 20 miliardi di dollari, non può che sembrare grottescamente ipocrita, a questi elettori - e non solo a loro.
Se Biden non vuole passare alla storia come il presidente che è rimasto a guardare mentre il mondo sprofondava un'altra volta nell'abisso, se Kamala Harris vuole dare prova agli Stati Uniti e al mondo di essere pronta a quel ruolo di "leader del mondo libero" tanto caro all'immaginario statunitense, il tempo degli appelli vuoti è scaduto. È tempo di fare qualcosa, prima che sia troppo tardi. Ammesso che non lo sia già.
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