L'8 marzo è la Giornata internazionale della donna, o dei diritti della donna. Farla passare come "Festa", con il suo contorno di mimose comprate di fretta ai semafori tornando a casa, di cioccolatini a forma di mimosa, di locandine dei locali con mimose sfocate stampate su addominali scolpiti, è stato il più grande inganno di quel diavolo che è il sistema patriarcale.
I social, che da una parte ci hanno inondato di grafiche brutte con (indovinate?) mimose incrostate su frasi di dubbio gusto, dall'altra hanno anche diffuso e aiutato a coordinare e a mostrare a una platea sempre più ampia di persone un dibattito e un agire quanto più lontano da una festa patinata si possa immaginare. Le discussioni e le prese di posizione pubbliche di donne che fanno sentire la propria voce e si organizzano, i manifesti e le grafiche potenti che sintetizzano le richieste e le rivendicazioni, ormai conosciute e riconoscibili ovunque, i cortei e le assemblee di Non una di meno, che riempiono le piazze e più raramente le pagine dei giornali, più lenti o restii a dare spazio alla necessaria radicalità faticosamente restituita all'8 marzo. Per quanto possa essere radicale la pretesa di essere considerate persone pari agli altri. Non "più sensibili", non "creature meravigliose", non "un dono" e altre amenità tossiche e discriminatorie, ma persone, né più né meno. Radicalissimo.
Per cui, cosa fare l'8 marzo a questo punto, per non ritrovarsi fuori luogo e un po' patetici come fiori incellophanati e già avvizziti sul cruscotto?
- Informarsi. Segui sui loro canali donne e uomini transfemministi, leggi i manifesti di rivendicazione, compra dei libri che ti possono aiutare a orientarti e a farti un'idea del dibattito. Suggerimento: di genere si dibatte, si scrive e si ragiona da moltissimo tempo e da moltissime angolazioni, per cui è probabile che tanti dubbi, domande, osservazioni che ti vengono in mente siano già stati avanzati e discussi in precedenza. Prima di riversarli sulle prime attiviste che incontri, che già stanno facendo un sacco di altre cose e anche se fanno divulgazione non sono dei tutor personali, prova a navigare la grandissima mole di materiale già esistente, potresti trovare le tue risposte già lì.
- Partecipare. In molte città si organizzano cortei, incontri, assemblee, gruppi di lettura, proiezioni… e la partecipazione si estende anche a tutti gli altri giorni dell'anno, se vuoi. Iscriviti a un'associazione, a un gruppo solidale, a un partito femminista e porta lì le tue idee e la voglia di cambiare le cose.
- Intervenire. Se puoi farlo in sicurezza, quando senti dei luoghi comuni sull'8 marzo e, in generale, se assisti a comportamenti apertamente sessisti e discriminatori, dì qualcosa. Succede spesso che se siamo in famiglia o tra amici non interveniamo per quieto vivere, quindi molte persone pensano che i loro atteggiamenti siano più accettati e accettabili di quanto non siano, perché nessuno glielo fa mai notare.
- Diffondere. Puoi utilizzare il tantissimo materiale (volantini, post…) già disponibile online e condividerlo il più possibile e discuterlo con chi ti sta intorno.
- Scioperare! Ebbene sì, l'8 marzo si sciopera. Dal lavoro, dal lavoro di cura, dal lavoro domestico… si sciopera anche per chi non può farlo. Si sciopera perché lo sciopero è ancora una delle forme più efficaci per far sentire la propria voce e per manifestare, e allo stesso tempo per far sentire il peso del nostro contributo, nel momento in cui lo interrompiamo.
- Andare oltre l'8 marzo. Lo diciamo sempre, durante una ricorrenza annuale: l'impegno deve essere quotidiano, 365 giorni l'anno. E, in questo caso più che mai, a 360°. Difendere i diritti delle donne significa garantire il diritto allo studio, alla partecipazione, alla salute, all'accessibilità, al rispetto, all'asilo, a una giusta paga, alla giustizia ambientale e sociale, alla scelta e all'autodeterminazione… tutti diritti umani inviolabili. Ecco perché se è importante che l'8 marzo porti all'attenzione tutte le contraddizioni e la necessità della lotta, poi questa va portata avanti anche tutti gli altri giorni.
Buon l'otto marzo!
Non mimose, ma libri femministi!
(per esempio, quelli del pacchetto 8 marzo di People, con cui arriva anche il taccuino e la borsa di Anarkikka, se lo ordini entro le 23.59 dell'8 marzo)
"Una persona su quattro ritiene che un certo modo di vestire possa provocare una violenza sessuale. Una delle prime domande che le donne vittime di stupro si sentono rivolgere è «com’eri vestita?». A nessuna vittima di qualsiasi altro reato viene fatta questa domanda, solo alle donne stuprate.
Il “se l’è cercata” è un retaggio della cultura patriarcale che interpreta la donna come un oggetto: qualcosa da guardare, toccare, volere per sé. Diventa quindi normale tradurre ogni comportamento delle donne come azione compiuta in relazione al desiderio maschile. Se bevono, se sorridono, se sono troppo allegre, se si truccano e indossano vestiti corti o carini stanno “provocando” quell’uomo.
Questa legge non scritta viene alle volte alleggerita dal beneficio del dubbio: lo hai fatto ingenuamente? Te ne sei pentita? In ogni caso il giudizio resta: l’uomo di turno ti ha vista, ha reagito alla provocazione, che cosa ti aspettavi? Così i comportamenti violenti degli uomini vengono minimizzati e le donne colpevolizzate per i crimini subiti".
"Perché se è vero che in Italia abortire si può, in molte zone del Paese farlo non è semplice, e quasi in nessun luogo si tratta di un passaggio emotivamente gratuito.
La tassa da pagare infatti è altissima e la moneta è quasi sempre coniata a suon di umiliazione, mortificazione e accompagnata da quella sensazione onnipresente di compiere un atto
giuridicamente consentito ma moralmente poco accettato.
Le conquiste non sono eterne e come ogni cosa preziosa vanno alimentate, altrimenti rischiano di svanire schiacciate dal peso della paura e della non-cultura.
Per questo mai come oggi, in tempi di caccia alle streghe e tentativi per nulla velati di riportare in tutto il mondo i diritti delle donne all’anno 0, è necessario raccontare ciò che in Italia ha generato la libertà attuale, ricordando i nomi da ringraziare. Ma, allo stesso tempo, non smettere di tenere gli occhi aperti sulle tante cose che non vanno di una legge che a oltre quarant’anni dalla propria approvazione mostra i molti segni del tempo. Diverse, infatti, le criticità denunciate da chi per lavoro, senso civico o entrambi ogni giorno si misura in prima persona con questo tema, battendosi per migliorare una società che si rifiuta di spalancare una volta per tutte le finestre alla libertà.
Quella vera".
"Dicono che da quando è iniziata l’era dei social media le donne non si siano mai sentite tanto inadeguate. Perché lo standard di bellezza sembra a portata di mano ovunque e invece seguiamo donne bellissime con seni e sederi rifatti.
C’è una campagna negli Stati Uniti dal titolo "I weigh" in cui si dice che «ogni minuto che passiamo a pensare a quanto non siamo abbastanza magre e a quanto non siamo abbastanza belle è un minuto tolto ad altre attività.
In quel minuto avremmo potuto ad esempio pensare a come far crescere la nostra carriera o istruzione, avremmo potuto pensare alla nostra famiglia o a come divertirci di più nella vita»".
"È purtroppo ancora radicata nella mentalità corrente una sottovalutazione della donna, fatta un po’ di disprezzo e un po’ di compatimento, che ha ostacolato fin qui grandemente e ha addirittura vietato l’apporto pieno delle energie e delle capacità femminili in numerosi campi della vita nazionale. Per questa ragione io torno a proporre che sia migliorata la forma del secondo comma dell’articolo 7 nel seguente modo: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che limitano “di fatto” – noi vogliamo che sia aggiunto – la libertà e l’eguaglianza degli individui e impediscono il completo sviluppo della persona umana”.
Estratto del discorso tenuto da Teresa Mattei all’Assemblea costituente il 18 marzo 1947, su quello che sarebbe poi diventato l’articolo 3 della Costituzione.
"Annette Kellerman, Maud Leonora Menten, Mary Kenneth Keller. Ne avete mai sentito parlare? Eppure hanno cambiato il mondo. Avete trovato i loro nomi nei vostri libri di scuola? E per chi ha studiato arte: quante pagine avete letto dedicate ad Artemisia Gentileschi o a Lavinia Fontana? Conoscete il valore delle donne nella Resistenza? Eppur il loro contributo fu decisivo. E ancora, le grandi imprese nello sport. O il coraggio di dire no di Franca Viola, che ha cambiato il nostro Paese.
Quindi. Chi ha deciso di non concedere loro pari dignità?
Perché in Italia, su 100 vie, solo 8 sono intitolate a donne?
E di queste, perché oltre il 50 per cento è rappresentato da Madonne e sante? Come è possibile che i premi Nobel assegnati a scienziate siano solo una ventina, dal 1901 a oggi?
E soprattutto, perché i ruoli di rilievo nella ricerca e nelle istituzioni vengono affidati in numero esiguo alle donne?
Quante donne non hanno visto riconosciuto il proprio lavoro, o peggio, sono state dimenticate?
Appunto. Quante? Sicuramente troppe.
Per questo era necessario porvi rimedio".
Comments