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  • Immagine del redattoreSilvia Cavanna

Se Roma e Milano scomparissero

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Entro il 2050 l’Italia avrà perso complessivamente 4,5 milioni di residenti. In pratica è come se Roma e Milano, le due più grandi città nostrane, scomparissero.


È con questa immagine al limite del post-apocalittico che si apre il 57esimo rapporto annuale sulla situazione della società italiana redatto dal Censis, che sin dalle prime pagine snocciola numeri impietosi sulle prospettive del nostro Paese nei prossimi trent’anni: -9,1 milioni di persone con meno di 65 anni, +4,6 milioni di persone con 65 anni e oltre (di cui +1,6 milioni over 85), -2 milioni di donne in età feconda, -8 milioni di persone in età lavorativa, con conseguenze importanti e difficilmente invertibili nel breve in termini di declino della natalità, di capacità del settore industriale di generare valore, di tenuta del sistema di welfare. Una piramide demografica invertita, emblema di instabilità, con in cima una porzione sempre più ampia di persone anziane e alla base una generazione sempre meno numerosa (e sempre più sfiduciata) di giovani.

“I giovani sono pochi, esprimono un leggero peso demografico, quindi inesorabilmente contano poco” si legge nel rapporto, che evidenzia come le nuove generazioni detengano meno ricchezza, meno potere politico, abbiano minori prospettive di impiego, di crescita lavorativa, di riconoscimento delle competenze: un panorama di ingiustizia intergenerazionale reale e percepita (più del 60% degli under 35 emigrerebbe all’estero se ne avesse la possibilità, oltre il 75% ritiene di vivere in condizioni economiche peggiori rispetto a quelle dei propri genitori) che rende l’Italia poco attraente non solo per i giovani italiani e le giovani italiane, ma anche per le persone migranti, per i giovani e le giovani di tutto il mondo.

Di fronte a questi presagi infausti, il dibattito pubblico langue (mentre quello politico sfrutta il clima di sfiducia per alimentare la sua narrazione reazionaria) e la società italiana sembra affetta da un “sonnambulismo diffuso” che si traduce da un lato in una forte irresolutezza verso la comprensione dei fenomeni contingenti e la ricerca di soluzioni praticabili e condivise per invertire la deriva, dall’altro in quegli eccessi emotivi che “sollecitano reazioni paradossali”: dalla disperazione, alla paura della guerra, della crisi climatica, di quella energetica, fino ad arrivare alle più inverosimili teorie complottistiche. Eccessi emotivi che “paralizzano invece di mobilitare”, in un’atmosfera dove tutto, anche i problemi strutturali, è percepito come emergenza e quindi non affrontabile se non con misure emergenziali (non risolutive nel lungo periodo, ma spesso neanche nel breve).


Oltre ai numeri e alle previsioni, sono però interessanti anche le opinioni che le italiane e gli italiani esprimono in merito ad alcune questioni che dividono la politica (che, ricordiamolo, dovrebbe essere espressione e rappresentanza del popolo, quantomeno in democrazia) e che ancora faticano a trovare riconoscimento legislativo: il 74,0% si esprime a favore dell’eutanasia, oltre il 70% (il 77,1% fra le donne, il 75,1% fra i giovani) approva l’adozione di figli da parte di persone single e quasi il 55% da parte di coppie omogenitoriali, il 65,6% si dice favorevole al matrimonio egualitario (percentuale che supera il 79% fra i giovani), più del 70% schiera in favore sia dello ius soli che dello ius culturae.

Emerge quindi come, in tema di diritti civili, la società abbia di fatto preso coscienza degli inevitabili mutamenti che la caratterizzano, mutamenti di cui invece le destre (e non solo) alternativamente negano l’esistenza o si fanno strenue oppositrici, evidenziando così una distanza siderale fra il sentimento sociale e la retorica conservatrice dei partiti di maggioranza che continua a proporre la famiglia naturale, bianca, italiana come unica forma di famiglia ammissibile nel dibattito pubblico e politico.

I numeri, al contrario, mostrano come le famiglie “tradizionali”, pur rappresentando ancora la forma principale di famiglia, siano in netto calo rispetto al passato, mentre crescano le famiglie composte da persone che vivono da sole, quelle monogenitoriali e quelle omogenitoriali, e come in quasi il 10% dei nuclei familiari sia presente almeno un componente straniero, mentre il 7% sia composto interamente da persone non nate in Italia o nate in Italia ma senza cittadinanza italiana.


È giunto il momento che anche la politica riconosca che la società evolve e che suo compito in democrazia non è sfruttarne le paure per legittimare la propria permanenza al potere, quanto rassicurarla con azioni di ampio respiro, inclusive, che tutelino ed abbraccino la multiculturalità, che contrastino le disuguaglianze di genere e sorreggano le fasce più giovani e più fragili della popolazione, che infine salvino Roma e Milano (e tutto il resto del Paese) dalla scomparsa.

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