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Immagine del redattore Paolo Cosseddu

Si salvi chi può


Tristemente, chi ha problemi di salute cronici, gravi, ricorrenti, i fatti che seguono li conosce già, ma a tutti gli altri, quelli che più o meno per fortuna stanno bene, può capitare di incorrere in qualche malanno o fastidio, di aver bisogno di far esami e accertamenti, e scoprire così che l’attesa per farli è molto più lunga di quanto si possa aspettare. A quel punto, si palesano davanti al cittadino sostanzialmente due opzioni: la prima consiste nel rivolgersi a una struttura privata e, se va bene, verificare che in fondo per alcuni accertamenti basilari, una radiografia, una risonanza, con una spesa di 50, 100 euro o poco più ci si può levare il pensiero, e in fretta. Certo quei soldi si spenderebbero più volentieri in altro, o si metterebbero via per momenti di bisogno, ma se si ritiene la spesa sostenibile, in fondo si è lieti di poter risolvere la questione. Ed è lì, che il sistema ci frega. O meglio, frega chi può permetterselo, gli altri si attaccano al tram, pardon, alla coda.


Ma per molti italiani, quelli del famoso ceto medio sempre più in via di estinzione, questo è già da tempo il modo con cui si sopperisce alle croniche mancanze della sanità pubblica. Vengono accolti in piccoli-grandi studi o cliniche che più passa il tempo più si moltiplicano come i funghi - e questo sarebbe già un indizio - da personale cortese, in ambienti ordinati e impeccabili, mica come negli androni di certi reparti ospedalieri, che sembrano passatoie per mandrie. E ne sono spesso contenti, probabilmente perché non realizzano che quel servizio, in effetti, lo stanno pagando due volte: la prima quando fanno la dichiarazione dei redditi, e la seconda quando pagano il conto. Ma ormai non ha quasi più senso star lì a discuterne, no? Anzi, si ringrazia il cielo di potersi permettere questo piccolo ma necessario lusso. E questo è stato il grandissimo capolavoro di governi, amministrazioni e interessi privatissimi che, in decenni e decenni di paziente lavorio, di spostamento un micron alla volta del senso comune delle cose fino a portarci fino all’altro capo del mondo, ci hanno addirittura resi ben contenti di farci spennare.


Anzi, hanno trasformato l’operazione da problema in modello, e noi abbiamo pascolato beati come vacche al macello. In questi giorni, giacché si va verso elezioni regionali, il tema è comparso nel dibattito in Lombardia. A sorpresa. E che sorpresa, visto che un po’ tutti gli attori politici si sono resi conto che, ohibò, in Lombardia le liste d’attesa per fare la qualunque sono eterne. Eppure quello lombardo era un modello, appunto. Eppure già durante la pandemia - posto che sia finita - c’erano state avvisaglie piuttosto lampanti che qualcosa nel “modello” non era proprio così esemplare come veniva raccontato, tra mutandoni usati come mascherine, fabbriche che di fatto decidevano le misure restrittive, reparti congestionati e altri desertificati, commissariamenti e cambi in corsa delle figure chiave. Nella fulgida Lombardia, ma figuriamoci altrove, giusto? E ci si sarebbe potuti attendere che, dopo tutti i problemi contro cui abbiamo sbattuto il naso quando il Covid ci ha beccato con le braghe calate, fossero stati fatti investimenti imponenti, si fosse operata una formidabile inversione a U dal privato al rilancio del servizio pubblico: e invece no.


Non solo, ma nel frattempo son cambiati tre governi, dal Conte 2 a Draghi e ora a Meloni, e di cosa stanno discutendo, ancora, in questi giorni? Del Mes. Non è incredibile? Anche il Pnrr, per restare in tema di pacchi di soldi che dovevano arrivarci e servirci per cambiare questo benedetto Paese, per frenare la sua decisa marcia verso il declino, qualcuno l’ha visto? Qualcuno avverte che sia in atto una grande trasformazione, un piano Marshall 2.0 che col suo fermento ci darà, finalmente, quel “nuovo miracolo italiano” che peraltro Berlusconi ci aveva già promesso ormai trent’anni fa? D’accordo, per le radiografie ci sarà da aspettare, ma almeno abbiamo dato un’accelerata pazzesca alle rinnovabili? Abbiamo portato la fibra ottica in posti diversi dal centro di Milano? Abbiamo messo nelle classi sistemi di aerazione, quei filtri dell’aria il cui prezzo è ormai crollato e che potrebbero rivelarsi molto utili, hai visto mai, se scoppiassero nuove pandemie? Abbiamo sistemato i letti dei fiumi, almeno, o c’è un piano per ridurre gli sprechi dei nostri sistemi idrici, viste le stagioni di siccità ininterrotta che ormai ben conosciamo? Onestamente, non pare. Non si avverte mica, tutto questo lavorio.


Si discute di sbarchi, di trote e uccelli, di accise: robette. Perché tanto, per il resto, la soluzione c’è già. Non avete la fibra? Fatevi spennare dalle compagnie di telefonia mobile. La scuola non ha un soldo? Aggiungete la colletta per il filtro Hepa a quella per la carta igienica. Spendete troppo in metano? Ma oggi ci sono fantastiche offerte per mettersi i pannelli solari persino sul balcone, poi basta solo ricordarsi di spegnere il frigo quando gira la lavatrice. D’estate vi manca l’acqua? Usate la Ferrarelle. Ne avete troppa? Beh, ma non siete mai contenti. Insomma, fate voi, ognun per sé e si salvi chi può (chi può permetterselo). E allegri, perché ricordate, c’è anche chi sta peggio.




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