Perdere le elezioni regionali contro un avversario il cui presidente uscente e dimissionato è stato pluri-indagato e ha infine patteggiato è, come dire… incredibile. Intanto, serve a ribadire che la questione morale, come fattore di scelta presso gli elettori, non conta più, e non da oggi. Poi c’è l’astensionismo, che ormai passa in cavalleria, fa parte del paesaggio. Di nuovo: in una regione le cui istituzioni hanno registrato un crollo verticale, una vastissima percentuale di persone ha deciso comunque di non interessarsene. Nessuno è in grado di mobilitarle, e nessuno, evidentemente, si interroga a sufficienza su come farlo.
Del resto, oggi tutto il centrosinistra ringrazia Andrea Orlando, e nel rito ricorre la parola “generosità”, come se gli fosse stato chiesto di buttarsi da un aereo, pagando di tasca sua per il carburante. L’automatismo ovvio del dibattito a commento dei risultati si concentra molto su Conte e Renzi, e sui “what if” del fu Campo Largo, comprensibilmente. Ma giova ricordare che Andrea Orlando è deputato ormai da cinque legislature (il suo posto in Parlamento lo attende a Roma), e prima ancora è stato dirigente del Pd, proveniente dal Pci e transitato attraverso tutta la trafila con Pds e Ds, un prodotto del vivaio, diciamo. È stato ministro con Enrico Letta, e poi, in perfetta continuità (sic!), con Renzi, poi con Gentiloni, poi è stato vicesegretario del Pd sotto Zingaretti, durante il Conte II, poi di nuovo ministro con Draghi. È spezzino, quindi ligure, ma non è che il suo curriculum sia particolarmente denso di interesse per la sua regione di provenienza (qualcuno lo ricorderà, anni fa, commissario del Pd di Napoli, per dire). A leggere il suo curriculum, rilevandone la capacità di esser uomo per tutte le stagioni, politico di professione any sense, lo si trova sempre in campo, e sempre con un ruolo, in stagioni consecutive che spesso avevano indirizzi politici opposti rispetto ai precedenti. Sovviene un certo capogiro, perché è vero che solo gli stupidi non cambiano mai idea, ma qui siamo al fregolismo. E viene il dubbio che i contenuti siano in fondo indifferenti, come quando era a dir poco scettico sul salario minimo, da ministro, e poi è cambiata la stagione ed è diventato favorevole, quando ministro non lo era più e non poteva più effettivamente occuparsene (che jella).
Ha probabilmente ragione chi dice che la somma dei voti renziani ne avrebbe fatti perdere altri e non avrebbe cambiato il risultato, ma bisognerebbe anche chiedersi, visto che si continua a parlare della costruzione di una nuova identità progressista del Pd, se invece di preoccuparsi per i renziani fuori dal partito non sarebbe il caso di preoccuparsi della classe dirigente che è rimasta dentro, che è stata renziana quando conveniva poi non più, è stata tutto e il suo contrario, ed è sempre lì a occupare il suo bel posto. Se davvero è questa, la proposta con cui si pensa di convincere le persone a partecipare e a credere nel cambiamento. La risposta potrebbe essere che comunque Orlando era il candidato migliore possibile. Probabilmente è vero, e il problema è proprio questo.
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