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  • Immagine del redattore Paolo Cosseddu

Totus - Toti - Totum


Giovanni Toti

Alla fine, Pozzolo ha vuotato il sacco (disclaimer: non è una nuova puntata della Bielleide, sorry). Dicevamo, ha vuotato il sacco e ha detto agli inquirenti che non fu lui a sparare, bensì Pablito Morello, caposcorta poi rimosso di Andrea Delmastro. Fatto di vita vissuta: la settimana scorsa, a Torino, un tassista mi raccontava che anni fa ce l’aveva, quella pistola lì, uguale a quella di Pozzolo, e che è pericolosissima, che lui stesso una volta, mentre era seduto a tavola con l’arma in tasca, si era inavvertitamente sparato a una gamba (“ma niente di che, come una puntura di spillo”). Che uno quasi lo rivaluta, Pozzolo. Ma non divaghiamo. Pablito Morello, si legge sul sito del Comune di Biella, è Ispettore Capo del Corpo di polizia penitenziaria, ed è già un po’ strano che dalla penitenziaria si passi a fare gli agenti di scorta. Ma Delmastro ha dei trascorsi, con quel corpo in particolare: il carcere di Biella era stato messo sotto indagine per tortura di Stato, e Delmastro fu tra i sostenitori dell’abrogazione del reato stesso proposta dal suo partito. La sua vicinanza è evidente, e pure frequente, diciamo così. Di recente, appena prima dell’inizio della campagna elettorale, lo stesso sottosegretario ha annunciato l’ok a un progetto per fare - sempre a Biella - un’accademia… della penitenziaria, aridanghete, ospitandola nel vecchio e abbandonato ospedale, un casermone gigantesco vicino al centro, vuoto da anni, su cui le amministrazioni delle ultime consiliature si arrovellavano per trovare nuovi usi, e soprattutto i soldi necessari alla ristrutturazione. Li ha trovati lui: 70 milioni, che per una città di 42mila abitanti, per inciso, sono tanti. E quindi problema risolto, essenzialmente grazie al fatto che c’è un esponente locale del Governo a cui le guardie carcerarie stanno veramente, ma veramente a cuore.

 

Poi c’è Toti. Che non c’entra, ma c’entra. Sono uscite un po’ di intercettazioni, come sempre accade i questi casi, bavaglio o non bavaglio (forse servirebbe una legge “straccio in bocca”, come si vede nei film), e insomma, a leggerle non sono proprio edificanti, tutt’altro. Alcune testate più garantiste sollevano lo stesso qualche dubbio sulla solidità dell’inchiesta, e qualche giorno fa Guido Crosetto ha scritto, parlando a titolo personale:

«Ricordo inchieste simili. La più grave ed eclatante riguardò Fitto. Assolto da ogni accusa. Perché erano tutte false. Dopo anni di inferno. Sarà così anche in questo caso? A me sembra di sì».

Come è possibile? È possibile. Con l’attuale legge sul finanziamento alla politica, privati, aziende e gruppi d’interesse possono donare soldi ai partiti, alle loro fondazioni, a loro singoli esponenti. Certo, ci sono limiti, e tutto deve essere rendicontato. Ma si può, è il modello verso cui siamo andati, sublime ironia, per sfuggire alla corruttela della Prima Repubblica: l’abbiamo normata. Se poi, mesi se non anni dopo, un amministratore pubblico e un imprenditore vengono intercettati mentre parlano di sbloccare la tal pratica, che sia un reato, appunto, è da tutto da dimostrare. Alla fine, chi viene eletto dimostra solo di essere sensibile alle istanze di chi lo ha sostenuto. Tutto regolare, forse, ma è anche opportuno? Questo sarebbe tutto un altro paio di maniche. E non per forza c’è bisogno che ci siano di mezzo dei soldi: dopotutto, Delmastro di certo non prende donazioni dalla penitenziaria, ma molti suoi membri evidentemente lo sostengono, e lui li rappresenta. Funziona così, cosa credevate?

 

A qualcuno però, a questo punto, verrà il dubbio che sarà anche tutto a norma, ma si suppone che chi ci governa ci rappresenti tutti, mica solo i propri elettori, anzi, nemmeno, un club molto specifico, sottoinsieme di quell’elettorato. Altri invece ribatteranno che è normalissimo, e che se stessimo parlando di un sindacalista di certo non ci scandalizzeremmo se una volta eletto si proponesse di difendere i diritti dei lavoratori. Che è un esempio un po’ scricchiolante, visto che la storia anche recente è piena di ex sindacalisti che ai lavoratori gliel’hanno messa in quel posto. Ma ci siamo capiti.

Comunque: l’inchiesta ligure un effetto lo ha avuto, almeno per ora, quello di riaprire la discussione sul finanziamento pubblico, e voci di corridoio dicono che i partiti sarebbero ormai tutti d’accordo (tranne il M5S) con l’idea di tornare al vecchio metodo. Quello delle corruttele citate poco sopra, ricordate? I partiti prendevano soldi dallo Stato, tanti, e se li aumentavano pure, spesso. E poi intascavano pure le tangenti. A un certo punto li hanno beccati, anche se c’è voluto un po’, e ancora recriminano, peraltro: sarà per questo che tendono a dimenticarsene.

Ma allora, si chiederanno giustamente i lettori, esasperati, qual è la soluzione? La soluzione, evidentemente, è complessa, e lo spazio è quasi finito. Sarebbe però un importante passo avanti identificare meglio il problema. Primo fra tutti: che gli italiani li votano, ‘sti partiti. Per dire.

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