E così ieri "una giuria di suoi pari", come vuole la formula statunitense, ha giudicato Trump colpevole di tutti i 34 capi di imputazione nel processo ai più noto come il caso Stormy Daniels, dal nome dell'attrice porno che nel 2016 Trump ha pagato perché non rivelasse la relazione (anch'essa pagata) intercorsa tra i due qualche tempo prima, per poi cercare di insabbiare questi pagamenti tramite diverse azioni di falsificazione.
In una decina di ore di camera di consiglio, i dodici giurati si sono espressi all'unanimità, consegnando il palazzinaro del Queens alla storia come il primo ex-presidente in corsa per la rielezione condannato per reati penali. In un mondo normale, si tratterebbe di una cosa gravissima e, chiariamoci, lo è. Che un candidato presidente (sposato) abbia avuto una relazione a pagamento con un attrice hard potrebbero anche essere considerati affari suoi. Ci potrebbe (dovrebbe) forse dire molto su quanto davvero tenga ai valori cristiani cui moltissimi dei suoi elettori dicono di richiamarsi, ma si tratta in ultima analisi di una questione morale privata. Tutt'altra storia è invece un candidato presidente che paga il silenzio di una persona potenzialmente dannosa per la sua immagine, che falsifica libri contabili, fatture, trasferimenti di denaro per coprire questa copertura. Di tutto ciò, avvenuto in maniera diffusa nel 2016, Trump è colpevole, ed è un fatto. Un fatto, appunto, molto grave.
La domanda però ora è cosa cambia. E la risposta, ammesso che qualcuno la conosca davvero, è che probabilmente cambia ben poco, e cambia forse persino in peggio. Vediamo di riassumere brevemente.
Trump finirà in galera? C'è da dubitarne, anzi è quasi da escludere. Essendo tecnicamente incensurato, e vista la sua età, è quasi impossibile che quando l'11 luglio il giudice rivelerà la sua pena, questa sarà detentiva. La cosa più probabile è che venga condannato a un periodo di libertà vigilata. Che a pensarci bene sarebbe una cosa umiliante e ancora una volta gravissima. Per capirci, Trump in quel caso dovrà farsi accordare un permesso dal tribunale ogni qual volta dovrà lasciare lo stato, a partire dalla convention repubblicana che si terrà solo quattro giorni dopo la sentenza di luglio.
Questo influirà sulla nomination? Possiamo escluderlo. I delegati di Trump sono lealisti al 100% e probabilmente temono (non a torto) che negare la nomination regolarmente ottenuta da Trump alla primarie scatenerebbe una sommossa tra i sui supporter. Cosa cui abbiamo già assistito un paio di anni fa, lo ricordiamo tutti.
Avrà conseguenze sulle elezioni? Impossibile dirlo per certo. Un qualche impatto sull'elettorato cosiddetto moderato è probabile lo abbia, ma in quale misura è molto difficile a dirsi. Come abbiamo già scritto più volte su questa rivista, i dati mostrano che, salvo sorprese (e di sorprese in questi anni ne abbiamo viste parecchie) le elezioni saranno poco partecipate e si decideranno in base a chi tra i due candidati sarà in grado di perdere meno voti.
Avrà allora conseguenze sulla vita democratica degli USA, e di riflesso anche sull'occidente? Ecco, questa è l'unica cosa di cui possiamo essere sicuri. Li sta già avendo. Per tre motivi.
Se Trump dovesse vincere, si creerebbe un vulnus istituzionale senza alcun precedente, con un presidente in attesa del secondo grado di giudizio da condannato, con molti altri processi a suo carico ben più gravi in corso. E con un Trump, lo abbiamo visto anche ieri, ancor più livido e carico di vetriolo di quattro anni fa, con un controllo ancora più stretto sul partito repubblicano, e forse persino su entrambi i rami del parlamento, oltre che sulla Corte Suprema. Un rischio democratura più che concreto.
Se anche non dovesse vincere, il tramonto della sua parabola personale non vorrà purtroppo dire un tramonto del trumpismo. Dovremmo capirlo bene noi italiani, che proprio in questi giorni vediamo simboli elettorali e riforme costituzionali fatti nel nome di un Berlusconi la cui parabola politica è ormai terminata da oltre un decennio e che ha persino lasciato questa valle di lacrime.
Comunque vada, il fatto stesso che Trump nonostante tutto sia in corsa per restarci, e che nonostante tutto se la giocherà con Biden se non con un testa a testa, conquistando in ogni caso una marea di voti, è già di per sé il sintomo di un malessere profondo nella società americana, così come lo è - in misura molto minore - il fatto che i democratici non siano riusciti a trovare un candidato più convincente dell'attuale presidente, nemmeno di fronte ai suoi evidentissimi limiti fisici e mentali. Una crisi sulla cui fuoriuscita è quasi impossibile fare previsioni. E che dovrebbe, quella sì, preoccuparci davvero tutte e tutti.
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