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  • Immagine del redattoreFranz Foti

Il processo a Trump e quel terribile senso di déjà vu



Non occorre essere dei grandi appassionati di politica americana per conoscere la (ennesima) vicenda giudiziaria che vede come protagonista Donald Trump. Sono giorni che i media di ogni tipo mettono in primissimo piano il caso Stormy Daniels, la messa in stato di accusa dell'ex presidente americano, e tutto ciò che gira intorno a questa sordida faccenda. Forse qualcuno si sarà domandato come mai su Ossigeno, che sin dalla sua nascita ha sempre incluso nel proprio racconto quanto avviene dall'altro lato dell'Atlantico, non se ne sia parlato granché.


Certo, nella redazione virtuale di questa rivista c'è un enorme cartello che dice "ricorda la regola delle 48 ore di Civati", in altre parole l'idea secondo cui chi vuole analizzare seriamente gli avvenimenti, e mira a uno sguardo lungo piuttosto che a una cronaca quotidiana, dovrebbe sempre aspettare almeno un paio di giorni dall'irrompere di una notizia e guardare ai suoi sviluppi, prima di azzardare un commento. Sicuramente questo sacrosanto precetto è entrato in causa, ma non è solo questo.


Certo, c'è anche il fatto che se tutti ma proprio tutti ne parlano, e a ogni ora di ogni giorno, provare a dare la propria versione, per quanto laterale, può risultare superfluo e anche un po' mainstream, ma non è solo questo.


La verità è un'altra: non avete percepito anche voi, nel guardare i servizi dei tg sull'udienza a New York e sulla conferenza stampa in Florida di Trump, o nel leggerne sulla stampa o sul web, un terribile senso di déjà vu, condito da un pizzico di fastidio e da una spolverata di frustrazione?


Se come noi avete vissuto queste stesse sensazioni, non è un glitch in Matrix, non è nemmeno overdose da allnews, è che noi questa storia l'abbiamo già vista davvero. E con moltissime repliche.

Dai, non è difficile.

Un chiacchieratissimo tycoon che si è buttato in politica dando nuova - e pericolosamente eversiva - vita alla destra populista subisce un paio di batoste elettorali ma resta tutto sommato il leader del suo sgangherato schieramento, che vanta consensi fluttuanti ma comunque altissimi. Questo stesso leader, che da sempre ha un rapporto "animato" con le istituzioni e il sistema giudiziario, finisce ancora una volta sotto processo, in un mix esplosivo di vicende private, sesso, tradimenti, elusione fiscale e gestione opaca del potere esecutivo che fino a poco prima deteneva. E mentre i suoi avversari lo danno per spacciato, lui ne fa il centro della sua campagna elettorale permanente, gridando all'ingerenza di giudici politicamente deviati nel campo politico, gridando al tentativo di colpo di stato, attaccando a testa bassa il governo in carica sui temi più caldi per il suo elettorato: le tasse e la sicurezza. Arrivando persino a rivendicare i buoni rapporti con la Russia che c'erano ai suoi tempi, ché lui Putin lo sapeva prendere per il verso giusto.


Dai, davvero non vi ricorda nessuno? Ecco, appunto.


Fa specie parlarne oggi, mentre è ricoverato in gravi condizioni di salute, ma il punto qua non è parlare del Berlusconi di oggi (che vanta infiniti tentativi di riabilitazione e santificazione), ma quello di ieri e dell'altro ieri.

Il fastidio e lo scoramento che proviamo nel vedere il processo giudiziario e mediatico a Trump, è che noi questo film lo abbiamo già visto e temiamo di sapere molto bene come va a finire.

E sapendolo è molto preoccupante vedere un certo atteggiamento di trionfo da parte dei democratici e dei media liberal. Come quando guardiamo un film horror, e vediamo la coppia nel bosco decidere di dividersi, o il protagonista entrare in quel capannone lercio con i neon sfarfallanti, o ancora la bella di turno decidere di esplorare quella soffitta che fa quegli strani rumori, e noi inutilmente urliamo al televisore che no, sarebbe meglio lasciar perdere, non ne verrà fuori nulla di buono, è ovvio. Perché è un copione scontato, già visto.


Ecco, la giustizia deve ovviamente indagare Trump, fare il suo corso fino in fondo, e può darsi che dopotutto davvero questo processo segni la fine della carriera politica dell'ex Presidente. I democratici, però, soprattutto quelli che sotto sotto, come rivelato qualche giorno fa dal New York Times, sperano che sia proprio Trump a sfidare da condannato Biden per una vittoria "più facile" alle presidenziali del 2024, farebbero meglio a tenersi alla larga, e fare politica, e governare al meglio delle proprie possibilità. Perché questo film altrimenti va a finire come la versione precedente, quella italiana.


Quella in cui hanno dato per finito politicamente il leader della destra populista, per poi vederlo risorgere infinite volte, e restare al centro della scena per oltre vent'anni.


Quella in cui nel frattempo la sinistra si è sostanzialmente fatta a pezzi da sola. E, alla fine, quando finalmente è l'avversario si è avviato vero un triste tramonto, è stato sostituito da qualcosa di persino peggiore.


Perché se diamo un'occhiata a chi ci governa ora, a pensare ai sequel ci vengono i brividi.

Perché si può arrivare, nei capitoli successivi, a considerare persino il cattivone del primo film tutto sommato mica così male, rispetto a quello ci aspetta in seguito. E se Berlusconi riscritto negli USA è diventato Trump, il déjà vu si trasforma in panico, se pensiamo a cosa potrebbero fare oltreoceano gli equivalenti di due personaggi come Salvini e Meloni.


Ecco perché non si era ancora commentato Trump. Un po' per quel senso di noia e già visto, un po' perché non volevamo metterci (e mettervi) troppa paura.

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