Da poco più di una settimana è possibile firmare per un referendum che, se passasse, dimezzerebbe i tempi di residenza necessari per ottenere la cittadinanza italiana. E sta faticando, per lo più ignorato sia dai media che dai principali soggetti della sinistra. Perché?
Lo scarso interesse dell’informazione non ha bisogno di spiegazioni, purtroppo: gran parte di essa, specie quella pubblica, è allineata a un Governo che di sicuro non vedrebbe favorevolmente una novità di questo tipo. A tacere, però, è anche il cosiddetto Campo Largo, con tutto ciò che gli sta intorno.
Giusto all’inizio dell’estate, grazie finalmente alla novità della firma online, i proponenti del quesito sull’autonomia differenziata hanno sfondato la cifra richiesta di 500mila adesioni in pochi giorni. All’inizio della raccolta, secondo una stima proveniente da fonti Cgil, la firma digitale poteva valere circa il 15 per cento del totale: una valutazione completamente travolta dal risultato effettivo, forse con qualche disappunto. Non è raro, infatti, che nelle organizzazioni più tradizionali esista una sorta di “culto del banchetto”, considerato preferibile per via di alcune caratteristiche oggettive, ad esempio il contatto diretto con le persone e la visibilità derivante dall’essere fisicamente presenti nelle piazze e nelle strade con i propri gazebo. Una raccolta tradizionale consente insomma di dimostrare che si esiste, che si è in grado di rendere visibile la capacità di mobilitazione. Ma, d’altro canto, richiede anche molti mezzi, persone, denari, burocrazia, e tonnellate di carta: fogli su fogli in innumerevoli copie, documenti ricopiati a mano con tutti i rischi connessi di fare errori, e poi procedure con Comuni non sempre ben disposti, certificazioni, tutte cose che chi si è trovato a farle ricorda non certo piacevolmente, al netto del sentimento nostalgico per la retorica delle suole consumate e della militanza fatta di persona personalmente. La firma digitale, invece, è vista come un atto freddo, remoto, che ognuno fa dal proprio divano, che non crea vicinanza: di nuovo, è un giudizio in parte corretto, ma è anche tipico di generazioni che non capiscono del tutto il mondo in cui vivono, non a caso è lo stesso che aveva espresso da presidente della Corte costituzionale pure Giuliano Amato, non certo un modernista. Ma le cose stanno davvero così? Non proprio.
La politica, infatti, non è un mero esercizio logistico. Non basta saper montare una tenda, quello lo fanno anche i venditori di porchetta. La militanza non si esercita solo con l’autorizzazione a occupare il suolo pubblico, e non è quella la forma di mobilitazione che conta: serve un orizzonte politico, chiaro, trasparente, e serve la capacità di comunicarlo, di usare la propria base come un vettore in grado di moltiplicare un’iniziativa, diffondendone il suo contagio in tutta la società, o almeno in buona parte di essa. Ed è in questo, che sta la differenza tra il successo del referendum sull’autonomia differenziata e lo stallo di quello sulla cittadinanza: nel fatto che mentre il primo ha fatto registrare sin dal primo minuto l’impegno diretto e totale delle grandi organizzazioni della sinistra, sul secondo fin qui c’è stato un silenzio quasi totale. E un po’ imbarazzante. Se tutto il cosiddetto Campo Largo, e in particolare il Pd che ne è il maggior azionista, insieme alla Cgil e all’Anpi, da domani si decidessero a sostenerlo, il quesito sulla cittadinanza raccoglierebbe le firme in pochi giorni, esattamente come successo con il precedente. Se continuano a tacere, fallirà. Molto semplice, purtroppo.
Certo il mancato impegno solleva e solleverebbe molte domande: perché non sostenere un tema di questa portata, di cui discutiamo a vuoto da decenni? Forse perché non è il momento? Davvero si può sostenere questo, con il Governo che è in carica? O perché si ritiene che l’Italia non sia pronta, e che potrebbe comunque fallire? Il che può essere, ma non aprirebbe – finalmente – un dibattito incredibile, questa volta impossibile da ignorare anche per tutta l’informazione? Oppure per rivalità, o per simili ragioni politiche laterali? O addirittura perché non lo si condivide? Non lo vogliamo credere, suvvia. Non con le vite di centinaia di migliaia di persone, italiane di fatto tranne che per la legge, in ballo. Questo è un appello, insomma: la raccolta è partita il 6 settembre, oggi è il 14 e ci sono solo 90 giorni in tutto per raggiungere il mezzo milione di firme necessarie. Si può fare, ma non si può perdere altro tempo. Un appello ai leader della sinistra, per tutto ciò che rappresentano. O, almeno, dovrebbero rappresentare.
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