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  • Immagine del redattoreFranz Foti

Cosa ci dirà il midterm in vista del 2024


È finalmente arrivato l'8 novembre, il giorno in cui negli USA si terranno le elezioni di metà mandato, che andranno a rinnovare tutti e 435 i seggi della Camera dei Rappresentanti, 34 su 100 seggi del Senato e 39 governatori, oltre a una manciata di elezioni locali di ogni ordine e grado.


In questa sede non intendo lanciarmi in opinioni e previsioni sull'esito di questa tornata (dal 2016 in poi è noto che fare previsioni sul voto americano porti una sfiga terribile), ci basti sapere che secondo la maggior parte dei sondaggi sembra altamente probabile che i repubblicani prenderanno il controllo della Camera, mentre la sfida del Senato sarà un testa a testa desinato probabilmente a durare qualche giorno in sede di spoglio delle schede.


Perdonatemi l'autocitazione, ma come ho scritto in "La squadra. Il futuro del progressismo in America", pubblicato in settembre, l'esito di queste elezioni è in parte in realtà già scritto, frutto dell'azione di Biden e della sua maggioranza in questi due anni, di un'attitudine un po' perdente dell'establishment democratico nell'affrontare le tornate elettorali di questi ultimi anni, e anche di una certa consuetudine nel voto degli statunitensi, che generalmente tendono a punire la maggioranza del Presidente in carica nelle elezioni di metà mandato.


Vada come vada, se non altro le elezioni di oggi ci potranno però dare alcune indicazioni su come si orientano i cittadini americani, in particolare quelli più inclini a votare democratico, e come questi rispondono alla campagne elettorali democratiche, lezioni che spero saranno d'aiuto ai blu nella sfida più importante, cioè la presidenziali del 2024.


La prima questione è quella dell'affluenza. Sembra banale, ma l'andamento dell'affluenza sarà davvero decisivo in queste elezioni come e più che nelle altre. Molti democratici legano le loro speranze per un risultato sorprendentemente positivo per la maggioranza di Biden al fatto che un nutrito gruppo di cittadini si è registrato per la prima volta al voto e sembra molto motivato a recarsi alle urne e votare democratico. Si tratta in particolare di donne e di giovani, e come già scritto su questo blog qualche tempo fa proprio i giovani sembrano essere l'unica speranza dei dem: se davvero si recheranno in massa alle urne, come già nel 2018, questo potrebbe effettivamente incidere in maniera decisiva sull'esito delle elezioni.

Generalmente, però, alle elezioni di midterm è l'elettorato di opposizione - com'erano i democratici nel 2018 - il più motivato ad andare a votare, e in generale l'elettorato repubblicano è quello con il minor tasso di astensionismo, quindi un esito di questo tipo sarebbe doppiamente sorprendente.


La seconda questione è strettamente legata alla prima, ed è quella del frame della campagna. I democratici hanno puntato tutto sui diritti civili, mentre i repubblicani hanno picchiato duro sull'economia.

Nelle scorse settimane abbiamo visto che i più autorevoli sondaggi (compreso l'ultimo del New York Times) dicono che però la grande maggioranza del corpo elettorale - democratici compresi, giovani compresi - è molto più preoccupato per l'andamento dell'economia USA che per le questioni legate alla pur vergognosa sentenza della Corte Suprema sull'aborto. I democratici più ottimisti dicono che l'ondata di votanti dem donne e giovani su cui contano per ribaltare i pronostici sarà spinta al voto proprio dalla battaglia sui diritti civili, ma la parte più progressista del partito, in particolare Bernie Sanders, AOC e la Squadra, hanno invece puntato tutto sulle questioni economiche, il che lascerebbe pensare che avrebbero preferito una campagna diversa e meno sbilanciata sui soli diritti civili. Staremo a vedere.


E proprio la questione delle scelte dei singoli candidati ci porta alla terza questione, anche questa apparentemente banale come le due precedenti: la selezione dei candidati. Come sottolineato anche da Nate Silver e dagli analisti del suo sito di statistica, sondaggi e modelli predittivi, FiveThirtyEight.com. se al Senato la corsa è ad oggi ancora un testa a testa e non l'ennesima batosta per i democratici, è proprio grazie a una manciata di singoli candidati molto validi e combattivi in alcune partite decisive per la camera alta del Congresso, che si trovano a sfidare dei repubblicani particolarmente impresentabili, minati da scandali, gaffes, inesperienza. I primi sono spesso di tendenza progressista, i secondi sono tutti trumpiani di ferro. Un esempio su tutti lo scontro tra il democratico John Fetterman, vice-governatore della Pennsylvania e grande sostenitore di Bernie Sanders, e il repubblicano Mehmet Oz, un medico protagonista da anni di un popolarissimo show televisivo che porta il suo nome. Fetterman è in tutto e per tutto l'archetipo dei nuovi progressisti USA - un esponente della working-class molto di sinistra - mentre Oz è specularmente un classico trumpiano - xenofobo, politicamente ignorante, conservatore all'estremo sui diritti civili, fautore di ogni genere di teorie astruse dal covid alle elezioni "rubate" da Biden. La questione è: la spinta del sentiment nazionale che pende decisamente a favore dei repubblicani sarà talmente forte da portare con sé anche i candidati più impresentabili e incompetenti, o la scelta di buoni candidati pur non del tutto allineati alla linea del partito democratico saprà contrastare questa tendenza e conquistare seggi prezioni? In altre parole, quanto conta quello che in termini classici definiremmo voto d'opinione, e quanto conteranno invece le capacità dei singoli candidati?


Le risposte che il voto di oggi ci darà a queste tre domande saranno decisive in vista del 2024 e delle scelte che i democratici dovranno fare se vorranno mantenere la presidenza degli Stati Uniti e costruire un futuro più progressista per gli Stati Uniti. La mia personale ricetta, per chi fosse curioso, è scritta in "La squadra. Il futuro del progressismo in America", che oggi 8 novembre People regala a chiunque effettui un ordine sul nostro sito peoplepub.it. Un messaggio di speranza, prima di tornare a sentirci per l'analisi del voto.

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