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Cìavete fatto caso che i lavoratori dello spettacolo sono lavoratori?



Ancora a proposito della censura calata su Antonio Scurati: oltre a chi ha addirittura rivendicato il diritto dell'editore, ovvero del Governo, di zittire chi lo critica, anche su una rete pagata dal canone di tutti i cittadini, è stata giustificata in modo miserabile tirando in ballo pure il compenso che era stato previsto per il suo contributo, come sei il lavoro intellettuale non avesse valore, e c'è chi come Italo Bocchino si è spinto a dire che «Scurati ha fatto i soldi con Mussolini», un'affermazione che si commenta da sola. Di fronte a tanta pochezza, ci piace ripubblicare il video che il nostro caro Marco Tiberi fece nel novembre 2020 in difesa dei lavoratori dello spettacolo e dei loro diritti, e la rubrica - Cìavete fatto caso?, titolo-citazione preso in prestito da Aldo Fabrizi - che aveva scritto per il numero 5 di Ossigeno, uscita nel settembre del 2021 ma più che mai attuale.


Perché, anche se non sembra, ci sono delle persone che di mestiere fanno in modo che tutti gli altri, quando non hanno da lavorare, possano divertirsi, svagarsi, distrarsi, addirittura riflettere, discutere, imparare. Non dovrebbe esserci bisogno di ricordarlo, però invece forse sì, perché tra le tante cose che ha rivelato la pandemia ce ne sono un paio che vale la pena di sottolineare. La prima è che i lavoratori dello spettacolo in questo paese non hanno nessunissimo tipo di tutela (e non stiamo parlando della mitologica intermittence francese, ma di niente di niente di niente). La seconda è che la cultura dalle nostre parti è considerata sempre di più qualcosa di cui si può tranquillamente fare a meno (sarà per questo che, infatti, da molto tempo ormai ne facciamo sostanzialmente a meno?). La situazione era molto difficile già da prima del biennio orribile che abbiamo passato, tra un mercato con poca concorrenza e uno Stato che continua a tagliare i fondi e a spendere male quelli che ci sono, ma tra il 2019 e il 2021 ci siamo accorti che c’erano più 300.000 (trecentomila) persone, molte delle quali con famiglia, che non hanno più potuto lavorare. Chi l’avrebbe mai detto, abbiamo scoperto che c’è della gente che senza cultura non mangia. Ma come mai questo problema non ce lo eravamo mai posto? Proviamo a capirlo, facciamo un giochino. Parliamo di cinema, ma sarebbe la stessa cosa per qualunque altra forma di intrattenimento.

Prendete l’attrice e l’attore che vi piacciono di più, i vostri preferiti. Metteteli in una stanza. Una stanza d’albergo per esempio. E pensate a una scena d’amore che forse finirà con un bacio, forse no. Come si fa a fare questa scena? C’è chi di lavoro decide come vestire l’attrice e l’attore. C’è chi di lavoro confeziona quei vestiti, o li trova. C’è chi di lavoro trucca i due attori. C’è chi di lavoro acconcia loro i capelli. C’è chi di lavoro scrive le parole che diranno prima di baciarsi, se mai si baceranno. E c’è chi di lavoro legge e rilegge e rilegge quelle parole e, mannaggia a loro, decide che alcune non vanno bene e ti chiede di aggiustarle. Ma è lavoro anche quello. C’è chi di lavoro decide come illuminare i vostri due attori preferiti. E c’è chi di lavoro prende quelle luci e le mette esattamente dove bisogna metterle. C’è chi di lavoro sceglie la stanza dove girare la scena e c’è chi di lavoro decide come arredarla. C’è chi di lavoro trova il tappeto, l’armadio, il comodino da mettere in quella stanza e il letto, dove se tutto andrà bene forse l’attrice e l’attore finiranno. C’è chi di lavoro prende e porta quel tappeto, quell’armadio, quel comodino e quel letto e li mette al posto giusto. C’è chi di lavoro decide come inquadrare la scena e c’è chi di lavoro affitta le macchine che servono ad inquadrarli. C’è chi smonta e rimonta quelle macchine da cavalletti, gru, roba che sale e che scende, chi costruisce binari per farle scorrere, c’è chi di lavoro si porta a spasso la macchina da presa come fosse una parte di sé. C’è chi di lavoro cronometra la scena tutte le volte che viene fatta e si ricorda come lei aveva messo mano e come lui aveva spostato la testa, perché poi ci sarà uno che di lavoro monterà insieme tutti i pezzetti della scena per farvi arrivare al momento del bacio, o del bacio mancato, nel modo più emozionante possibile. C’è chi di lavoro scrive la musica che renderà la scena più coinvolgente e c’è chi di lavoro suonerà quella musica. C’è chi di lavoro, anche se spesso non è pagato, aiuta tutti gli altri che lavorano alla scena e porta i caffè e va a prendere quel che serve e corre dappertutto. C’è chi di lavoro cucina i pasti per la pausa pranzo di quelli che lavorano alla scena e c’è chi di lavoro porta quei pasti, c’è chi di lavoro produce le scatole di cartone dove vengono messi quei pasti. C’è chi di lavoro guida le macchine che servono a portare i vostri due attori preferiti nel posto dove si gira la scena. C’è chi di lavoro guida i camion che servono a portare tutto quello che serve. C’è chi di lavoro controlla che nessuno si freghi niente dai camion mentre si sta girando. C’è chi di lavoro fa tutto questo e tante altre cose che colpevolmente mi sono dimenticato, ma quando usciamo dal cinema, a tutte queste persone non ci pensiamo mai. Sapete perché? Perché tutti questi mestieri per essere ben fatti devono essere invisibili. Sullo schermo o a teatro, e anche durante un concerto, quando si guarda lo spettacolo, non si deve capire che c’è del lavoro dietro, non ci si deve fare caso, sennò la magia è finita. Sarà forse per questo che facciamo tanta fatica a considerare i lavoratori dello spettacolo dei lavoratori come tutti gli altri?

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