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  • Immagine del redattoreGiampaolo Coriani

Il bavaglino

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“Stampa, ritorna il bavaglio” era il titolo principale di Repubblica.

Più contenuto l’occhiello in prima del Fatto Quotidiano: “Destre&IV: il bavaglio sugli ordini di custodia. Colpo di mano. Vietato scrivere degli arresti.”

Cosa era successo?

Andava al voto in Parlamento (sfugge dove fosse il colpo di mano) un emendamento a firma Costa che impedisce la pubblicazione, integrale o per estratto, cioè a pezzi ma virgolettati, delle ordinanze di custodia cautelare (sfugge anche dove fosse vietato scrivere degli arresti).

Da qui il presunto vulnus alla libertà di stampa, denunciato inizialmente da Repubblica e dal Fatto, ripreso da FNSI e poi, acriticamente, da M5S e PD, evidentemente a corto di terreni comuni nel campo fangoso, e al momento impraticabile, dell’opposizione.


Addirittura un articolo di Repubblica, a firma Giuliano Foschini, nei giorni successivi titolava così: “Mafia, corruzione e femminicidi: tutte le inchieste su cui calerà il velo. La norma approvata dalla Camera “chiude” di fatto la cronaca giudiziaria in Italia. Se fosse già in vigore non avremmo letto nulla su Cecchettin o Saman”.

Un’ipotesi apocalitticamente curiosa e smentita dalle altre pagine anche dello stesso quorìtidiano, visto che, purtroppo, abbiamo letto e continuiamo a leggere tantissimo su Cecchettin, prima, dopo e indipendentemente dall’ordinanza di custodia cautelare che l’ha interessato.

Da ultimo (per ora) un ex vicepresidente della Corte Costituzionale, Paolo Maddalena, che parla di violazione della Carta e di deriva autoritaria, e cito: “Qui siamo di fronte a una inaccettabile limitazione del diritto dei cittadini a essere informati. Su atti come quelli che implicano la limitazione della libertà personale che devono essere sempre motivati dall’autorità giudiziaria. Impedire di conoscere quali siano state queste motivazioni determina un grave vulnus di controllo democratico. Significa occultare la verità. A che scopo e per chi? Non per il popolo, ma contro di esso. È una disposizione infame e pericolosissima.”

Davvero? Per una parafrasi in cui tutte le informazioni possono essere pubblicate, anche se non in modo testuale?


Per provare, invece, a ragionare, bisogna partire da come sono formate le ordinanze di custodia cautelare.

Prima c’è la richiesta del Pubblico Ministero, che solitamente indica i reati di cui è accusato l’imputato e le fonti di prova che quella parte processuale (ricordiamolo, non è il Giudice, ma l’accusa) ha raccolto.

Più le fonti di prova sono analitiche, più aumentano le probabilità che il Giudice per le Indagini Preliminari, il GIP, ritenga sussistenti i presupposti per la custodia cautelare, che sono il pericolo di reiterazione del reato, il pericolo di fuga e il pericolo di inquinamento delle prove.

Dopo c’è il provvedimento del GIP che, ritenendo o meno sussistenti indizi di colpevolezza e almeno uno dei tre presupposti, accoglie o rigetta l’istanza.

Ma l’interesse mediatico ovviamente non è incentrato su accoglimento o rigetto, bensì sulla “discovery” delle accuse e delle relative fonti di prova, quindi sulla richiesta del PM.


E infatti nella normalità queste ordinanze contengono molte informazioni specifiche, magari su intercettazioni telefoniche, riportate testualmente, testimonianze, pagamenti, e sono però tutti atti di indagine, cioè a dire l’imputato non ha ancora avuto la possibilità di contestare o giustificare.

Ma di più, spesso sono coinvolte terze persone che non sono neppure indagate ma che magari sono state intercettate con uno dei destinatari dell’ordinanza.

Troppo spesso però, per chi la legge, la richiesta di ordinanza di custodia cautelare è una sentenza documentata, perché così è presentata dai media, che si limitano al copia e incolla di quanto distribuito dalle Procure, quando invece il processo vero e proprio non è ancora iniziato e la presunzione di non colpevolezza dovrebbe essere incontestata.


Quindi il problema esiste, e andrebbe affrontato con razionalità, contemperando l’interesse all’informazione con i diritti degli indagati e dei terzi non indagati coinvolti.

La nuova norma non impedisce di dare la notizia di un arresto, delle accuse, e genericamente delle fonti di prova, anche perché se così fosse davvero la Costutuzione sarebbe violata.

Impedisce solo questo copia incolla, quindi il giornalista potrà (e dovrà) scrivere il suo articolo omettendo solo di citare integralmente o per estratto l’ordinanza, cioè interviene solo sulle modalità di diffusione della notizia.

E questo non per sempre, ovviamente, ma solo fino all’udienza preliminare, dove quelle accuse e quelle fonti di prova saranno, quanto meno, formalizzate in modo definitivo e tutto sarà pubblicabile.

Non esiste quindi alcun divieto di dare notizie, ma solo, si ripete, una prescrizione sulle modalità di diffusione delle stesse notizie.


Giusto o sbagliato che sia, è un modo di affrontare il problema, la discussione è aperta, ma non ci troviamo certamente di fronte a una dittatura imminente (almeno non per questo, diciamo), né parlarne significa aderire all’area di Costa e a tutte le sue idee sulla giustizia.

Fa notare giustamente Piero Sansonetti sull’Unità che sostanzialmente l’emendamento Costa riporta il dato normativo al 2017, quando è stata introdotta, appunto la facoltà di pubblicazione integrale.

Abbiamo forse vissuto in uno Stato autoritario e dittatoriale fino al 2017, con una breve parentesi di libertà, ora perduta come lacrime nella pioggia?

Come trama di un romanzo distopico è un pochino scarsa, sembra più adatta alla stand up comedy, come quella di Ricky Gervais, il cui ultimo spettacolo si chiama guarda caso Armageddon e colpisce proprio le nostre contraddizioni come società, bisognerebbe mandargli due righe.


Ma non divaghiamo.

Una norma che non impedisce di dare una notizia, ma impone solo una parafrasi e per un tempo limitato, non può, per onestà intellettuale e per la credibilità giornalistica o politica di chi, legittimamente, la critica, essere chiamata bavaglio.

Può anche essere non condivisibile, ma certamente non è un bavaglio, non è una limitazione della libertà di stampa prevista in Costituzione, non impedisce di dare notizie.

Provi Repubblica a fare una parafrasi nella Russia di Putin, nella Turchia di Erdogan o nella Corea del Nord di Kim Jong Un, per capire la differenza.

Ecco, a vederla bene sembra più un bavaglino, utile non per far tacere, ma per contenere, un pochino, le deiezioni salivari di chi è così preso dalla foga di pubblicare particolari scabrosi prima dei processi che scambia le richieste del PM per sentenze definitive.

Ed è veramente triste che anche a sinistra ci si accodi acriticamente e senza ragionare a chi ha costruito un movimento, e gran parte delle proprie fortune, sul giustizialismo, solo per l’opportunità politica, tutta da verificare, del momento.

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