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Immagine del redattoregiuseppe civati

L’anno che è andato

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Con il ritorno di Verdini, il delirio sul Mes, le tradizionali dichiarazioni retrograde sulla natalità, si chiude il primo vero anno di governo della destra, in un paese che ha scelto la nostalgia e con essa il declino.

Stiamo affondando ma è meglio non pensarci, buttarla in caciara, richiamare alla memoria il tempo che fu, senza darsi troppe preoccupazioni.

Molta ideologia ma soprattutto molto “buon senso”, come direbbe il vicepremier: il nero non è tanto un colore politico, è un fatto fiscale, e tiene insieme – chissà per quanto – una comunità altrimenti sgangherata.


Progetti collettivi non ce ne sono più, oltre alla visione claustrofobica di una famiglia peraltro sempre più astratta e insincera, non si vede nulla.

Rimangono sulla carta i piani altisonanti e le decisioni irrevocabili, in un quadro nazionalistico che sa tanto di disperazione. Ce la si prende con i migranti, che comunque continuano ad arrivare. L’Europa, al di là della diplomazia, è sempre uno spauracchio. Il nuovo è rifiutato perché inconcepibile: non vorrete mica cambiare rendite di posizione e sottrarvi al richiamo del “si è sempre fatto così”? Siete matti?


Qualcuno si chiederà: dove stiamo andando? Ma è proprio questa la domanda che non è lecito farsi. Ciò che arriva dal futuro, le questioni da affrontare, la stessa complessità del presente, è semplicemente negata: vi ricordate quando non c’erano gli stranieri (e i neri soprattutto)? Quando le persone omosessuali non avevano pretese? Quando c’erano la famiglia, le pattine e il tinello? Se pensate che stia esagerando, sappiate che questo è esattamente il contenuto del libro politico più acquistato nel 2023.


In tutto questo, l’opposizione non ha preso coraggio e oltre a ripetere vaghe formule di alleanza in versione di sommatoria e fotografia dell’esistente, non ha da offrire un progetto e non ha una speranza da dare.


Hanno vinto gli altri, per demeriti dell’attuale opposizione, come sappiamo. E il quadro non sembra cambiare affatto, se non in peggio, perché l’attuale compagine di governo è dedita soprattutto all’occupazione del potere, cosa che storicamente le riesce benissimo.


Il 2024 sarà l’anno delle riforme istituzionali, e non è affatto detto che finisca come le altre volte, perché il paese scivola e chissà che il premierato non trovi fortuna. Per evitarlo, ci vuole qualcosa di molto diverso da ciò che vediamo: altrimenti si andrà di male in peggio. Del resto, non si stava meglio quando si stava peggio? Ecco, in sintesi, l’attuale fase politica.

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