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Milano addio

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Prima di tutto, un po’ di cronaca: il 4 Maggio 2023 è stata piantata - da una ragazza iscritta al Politecnico di Milano - la prima tenda in piazza Leonardo da Vinci, proprio davanti alla sede principale del Politecnico. Questo gesto ha dato il via alla protesta universitaria per il caro affitti, partita da Milano e ripresa in molte altre città italiane da parte di diversi gruppi più o meno preesistenti e organizzati. Per quanto riguarda lo spezzone di piazza Leonardo da Vinci, nelle settimane successive le tende sono aumentate, fino a raggiungere un massimo di 60 circa, un mese dopo l’inizio della protesta.

Nel frattempo, soprattutto nelle prime due settimane, lo spazio della protesta è stato sommerso da un’attenzione mediatica a cui nessuno era preparato. I giornalisti presenti a ogni ora del giorno - dai collegamenti con i telegiornali delle otto del mattino fino alle dirette nei talk show oltre la mezzanotte - hanno allo stesso tempo fatto esplodere mediaticamente il fenomeno del caro affitti per gli studenti e messo a dura prova la loro salute psico-fisica.


Già, l’esplosione mediatica del tema del caro affitti: a cosa ci siamo trovati di fronte? È realmente un problema emerso solo recentemente, o siamo di fronte a qualche altro tipo di meccanismo mediatico? Purtroppo, come è ben noto, l’agenda del dibattito pubblico non è dettata dai bisogni delle persone, ma sottostà invece alle “regole” del tritacarne impazzito della comunicazione di massa, che risponde a esigenze di mercato, pressioni politiche, interessi di categorie privilegiate. Ci si è chiesti a lungo che valore potesse avere, dall’interno di una protesta di piazza che aspira a partecipare alla costruzione di una comunità politica, costruita dal basso, sul tema dell’abitare, farsi massacrare in un talk show serale di un programma Mediaset.

Senza tenere conto di come ci si può sentire, alle undici di sera, dopo una giornata passata in ballo tra la propria vita privata e lo spazio della protesta, ad avere un faretto puntato in faccia mentre in collegamento da uno studio televisivo qualche ricco privilegiato ti dice una tra le seguenti frasi: «Ma non c’è bisogno che viviate tutti a Milano, potete vivere fuori e fare i pendolari»; «Abbiamo fatto anche noi dei sacrifici da giovani, quindi li farete anche voi»; «Ma quindi molti di voi vivono comodamente in affitto a Milano, cosa protestate a fare?».


Ci si è resi conto, però, che questa attenzione mediatica ha allo stesso tempo un potenziale, e dà il privilegio - che comunque rimane in gran parte illusorio - di poter avere una voce che viene ascoltata. Da cosa proviene questo privilegio? In questo caso, l’ingrediente principale è il classismo: gli studenti del Politecnico di Milano sono percepiti mediaticamente come parte della futura classe dirigente italiana, ed il fatto che vadano in tenda in piazza a protestare per il caro affitti fa vendere giornali e aumenta lo share. La consapevolezza di questo meccanismo mediatico è stata immediata all’interno della protesta, che quindi a questo punto si è posta come uno dei propri obiettivi concreti quello di diventare luogo in cui dare visibilità alla questione abitativa in città e non. Sono iniziati i contatti con associazioni, assemblee, occupazioni abitative, molti dei quali erano già avvenuti spontaneamente, e in breve si è creata una compartecipazione di spazi politici, momenti di formazione, assemblee comuni, in cui la protesta delle tende ha iniziato ad occupare una parte dello spezzone studentesco di una lotta politica in corso da decenni. Si è potuta dare voce e visibilità - anche se purtroppo per ora solo in parte - a chi una faccia pulita da mettere in televisione non ce l’ha, e allo stesso tempo costruire conoscenza e basi per rivendicazioni sempre più ampie, radicali e inclusive.


Questa e altre elaborazioni politiche sono state possibili all’interno dello spazio della protesta grazie a una moltitudine di elementi, che probabilmente sono il cuore pulsante della protesta come spazio di rivendicazione, come laboratorio politico di elaborazione e di auto-formazione. Prima di tutto, la partecipazione e l’aiuto materiale delle persone che erano a conoscenza della protesta e che l’hanno supportata con cibo, tempo, idee, chiacchierate, è stata fondamentale. C’è stato poi un grandissimo sforzo da parte di tante persone - alcune di esse provenienti da centri sociali e collettivi del territorio, altre senza nessuna precedente esperienza politica - per rendere la protesta un luogo che fosse sicuro, inclusivo verso ogni soggettività, e che in qualche modo fosse essa stessa un prototipo in elaborazione costante della comunità che si vorrebbe costruire.

Nel frattempo, poco dopo la metà di maggio è iniziata la seconda ondata dell’alluvione che ha colpito Emilia-Romagna, Marche e Toscana, che ha coperto l’intero spazio comunicativo e ha riportato l’emergenza abitativa (almeno dal punto di vista mediatico) nel dimenticatoio. Pur essendoci - come è giusto che sia - priorità dettate dall’attualità, è curioso che lo spazio mediatico si trovi a essere sempre completamente assorbito dalla singola notizia del momento. Succede con le numerosissime tragedie ambientali annunciate, con ogni ondata di arrivo di migranti sulle coste italiane, ed è successo con l’inizio della protesta delle tende. C’è un approccio apertamente anti-intersezionale nella comunicazione di massa, spesso portato avanti dalle stesse persone che sono estremamente attive nella lotta alle fake news, e non è un caso.


Luca Giordano


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