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  • Immagine del redattorePaolo Pileri

Per una politica ambientale ed ecologica


La questione ecologica deve stare dentro il modo di fare politica, di impostare il discorso politico, di scrivere ogni programma politico. È la questione sulla quale prende forma la politica e non più il viceversa. Dico questione ecologica e non questione ambientale perché abbiamo bisogno di occuparci della vita della natura e non solo delle condizioni nelle quali troviamo la natura. Per intenderci, quando parliamo di ambiente parliamo di temperature, pressioni, salinità, millimetri di pioggia e così via. cose fondamentali e importantissime. Quando parliamo di ecologia parliamo di vita delle specie animali e vegetali e delle loro mutue interazioni: parliamo di vita. Di qualcosa che non è surrogabile con la tecnologia e ha dei diritti da non violare, delle consuetudini da rispettare (gli animali migrano, si rifugiano, nuotano, etc.), delle relazioni di cui vivono e fanno vivere altre specie. Questo non è all’orizzonte di nessuno sguardo politico semplicemente perché non fa parte del manuale per generare un buon politico. Quindi la prima cosa da fare è tracciare un nuovo percorso formativo per chi vuole fare politica oggi. Un percorso fatto di temi ambientali ed ecologici, da conoscere, da riconoscere laddove si abita, si sta, si fa politica, da amare. La dimensione affettiva è fondamentale per tenere in esercizio la parte dell’apprendimento e viceversa. Quindi nuove scuole di formazione politiche: non è accettabile una cultura dilettantistica per guardare in faccia le questioni ecologiche. Il cosiddetto ambientalismo, quello degli anni ’80 e ’90 soprattutto, fatto di ricorsi, denunce, appelli e raccolte di firme e che era il marchio di fabbrica dell’impegno politico ambientalista è al capolinea da tempo. Non abbiamo bisogno di un curriculum di interpellanze parlamentari quando non sappiamo di cosa è fatta la terra, del perché una certa agricoltura fa male o come si reggono acqua e suolo assieme. Oltre a ciò, c’è poi la dimensione ‘urbanistica’ delle questioni ecologiche ed ambientali. Con dimensione urbanistica intendo come quelle questioni si concretizzano e vengono depositate a terra. Nel tempo presente, tempo di crisi ecologica, fare politica significa saper leggere le leggi urbanistiche e i piani urbanistici perché sono loro che depositano a terra le questioni ambientali ed ecologiche e ne decretano il successo o l’insuccesso. Rinunciare a riempire di contenuti ambientali ed ecologici l’urbanistica significa accettare che sia una disciplina solo amministrativa, da avvocati, fatta di regole e non regole, di competenze amministrative corte, di permessi, di concessioni. Regge questo approccio davanti a una crisi ecologica che non conosce confini amministrativi? Altra questione è una forte formazione alla cultura del limite e della prevenzione, due parole fondamentali, più di sviluppo e protezione. Se per anni l’esercizio politico è stato confuso con il potere di fare e disfare a proprio piacimento, fare politica ecologica significa innanzitutto darsi dei limiti facendosi ispirare dalla natura. Significa investire in prevenzione e monitoraggi più che mettere cerotti e fare protezione civile. Quindi una cosa come lo stop al consumo di suolo non è negoziabile o rimandabile o opzionabile in forza del fatto che la politica è compromesso. Non lo è più o non lo è come lo è stato. A furia di compromessi abbiamo apparecchiato la tavola delle giovani generazioni con siccità, alluvioni, esondazioni, spese folli, incendi mostruosi e altre assurdità. Il coraggio in politica, dote rara, oggi è più che mai necessario e richiede conoscenze e una certa inclinazione alla radicalità, spiegando ai cittadini perché conviene e perché questa strada è praticabile. Ovvio che non è pensabile riprodurre in avanti gli eccessi che abbiamo vissuto. Difficile dirlo e spiegarlo, ma non impossibile. Alla fine, la politica serve a questo, a occuparsi di ciò che i mercati e i compromessi non hanno interesse a occuparsi. Tra le sfide programmatiche che abbiamo bisogno di mettere in agenda c’è il rafforzamento di tutte le procedure di valutazione ambientale, dando più credito alle agenzie ambientali regionali e nazionale. Questo non vuol dire ingolfare i procedimenti urbanistici, ma qualificarli. Per non rallentarli basta investire in qualità e quantità dei tecnici ambientali in quelle agenzie e basta togliere la pressione politica che condiziona quei tecnici. Altra sfida è riportare alcune decisioni ambientali entro i perimetri giusti. Non ha alcun senso che i comuni si occupino di pianificare i territori, trasformando suoli, senza dover rendere conto degli effetti delle loro decisioni alla scala ampia alla quale quegli effetti si compiono. Quindi se sono ambiente ed ecologia a comandare, dovremo avere piani urbanistici di valle, di cooperazione stretta tra comuni lungo il medesimo fiume o costa e così via. la frammentazione amministrativa è un male di questo paese e ci allontana da qualsiasi transizione ecologica, oltre a essere un moltiplicatore di spesa pubblica. E poi spezza gli sguardi alla politica che continua, egoisticamente, a occuparsi solo di ciò che sta dentro la propria minuscola area territoriale di competenza. Siamo in un'altra cosmologia e per starci, dobbiamo cambiare modo di fare politica a partire dal fatto che i politici di mestiere devono iniziare a dire che tutti devono fare politica. Concludendo, abbiamo bisogno di fermare il consumo di suolo (questo è certo!), ma capendo cosa è il suolo e come impostare nuove agricolture e nuove urbanistiche. Non ci sono lasciapassare facili per nessuno, neppur per i pannelli fotovoltaici o per le pale eoliche. Non può essere l’urgenza ambientale a prevalere sulla questione ecologica, visto che i suoli sotto quei pannelli e quelle pale muoiono e poca è la loro consolazione se sopra ci fanno energia ‘green’. Ecco allora che la cultura ambientale&ecologica, non separate tra loro, possono aiutare a scegliere un’altra via, che è quella corretta. Infine, abbiamo bisogno di imparare a basare le nostre opinioni e le nostre decisioni su dati e fatti e quindi moltiplicare gli investimenti pubblici in monitoraggi, rapporti e agenzie ambientali, disaccoppiandoli da ogni ingerenza partitica. È possibile. Fa niente quanto sia difficile. L’importante è che sia possibile. E lo è.


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