Ieri il primo ministro portoghese António Costa, con un messaggio alla nazione, ha rassegnato le dimissioni. Il gesto è conseguenza delle perquisizioni negli uffici del governo nell'ambito di indagini per corruzione e traffico di influenze che coinvolgono in prima persona proprio il Capo di Gabinetto di Costa, il ministro delle Infrastrutture e figure del ministero dell'ambiente e del comune di Sines. Costa si è detto estraneo a qualsiasi condotta illecita, ma ha riconosciuto che l'istituzione che rappresenta non può essere macchiata nemmeno dal sospetto di corruzione, e quindi dopo un breve colloquio col Capo dello Stato ha deciso di rimettere il suo mandato, aprendo una crisi politica che quasi certamente porterà a nuove elezioni in Portogallo.
Lo scandalo che ha coinvolto i vertici del suo governo riguarda, per la maggior parte, le concessioni minerarie relative all'estrazione di Litio, materia prima oggi preziosissima in quanto elemento cruciale della grande maggioranza delle batterie ricaricabili presenti in un po' tutti gli apparecchi che ciascuno di noi usa quotidianamente, come smartphone, tablet e portatili, ma anche di auto elettriche, pannelli solari, pale eoliche, eccetera.
Uno scandalo che non sorprenderà certo chi ha letto Rosso Cobalto, il libro dell'accademico e attivista statunitense Siddharth Kara che ha puntato i riflettori sulle condizioni disumane in cui sono costrette a vivere le decine di migliaia di persone (uomini, donne e bambini) che ogni giorno si massacrano di lavoro in cambio di pochi centesimi per estrarre il cobalto essenziale a sostenere l'economia hi-tech e verde.
Kara ricorda in moltissimi passaggi come la corruzione sia un elemento intrinseco allo sfruttamento delle cosiddette terre rare, quei minerali tanti cruciali quanto (più o meno a seconda dei casi) scarsi o difficilmente reperibili, che sono diventati uno degli elementi chiave dell'economia globale e l'oggetto di una vera ferocissima competizione tra le grandi potenze per accaparrarseli.
Ma se la storia dello sfruttamento del Congo che Rosso cobalto racconta è una tragedia di proporzioni tali da renderla quasi unica, con una catena di violenza, devastazione e corruzione ininterrotta da 150 anni, dai tempi del dominio sanguinario di re Leopoldo II, il connubio tra terre rare e corruzione è un fatto assolutamente comune, quasi ordinario.
Le accuse e i sospetti di corruzione sono una costante, quando si parla di litio e cobalto, in Congo come in Bolivia, in Portogallo come in Cile. Come abbiamo già ricordato nell'ultimo numero di Ossigeno, Cina Stati Uniti e Russia stanno conducendo una vera e propria guerra commerciale per il controllo dei giacimenti di questi minerali, guerra che vede o ha visto protagonisti come l'americano Mike Pompeo - ex segretario di Stato di Trump ed ex direttore della CIA, oggi a capo della principale lobby americane nel campo delle terre rare -, il russo Evgenji Prigožin - il defunto comandante della famigerata brigata Wagner -, o il cileno Julio Ponce - genero di Pinochet e capo della SQM, compagnia mineraria seconda al mondo per produzione di litio.
Non stupisce quindi che anche il Portogallo, unico paese europeo con importanti riserve di litio in un momento in cui persino la sonnacchiosa Europa si è resa conto di dover partecipare a questa nuova corsa all'oro, sia caduto vittima delle tattiche illecite e predatorie che sembrano essere parte integrante di questa industria.
Conoscendo il livello del discorso pubblico nel nostro paese, è facile immaginare come si affronterà la notizia delle dimissioni di Antonio Costa - sempre se se ne parlerà: sarà l'ennesima occasione per denunciare la "truffa" delle tecnologie green e in particolare delle auto elettriche, uno dei mille nemici giurati di cui il nostro governo ama circondarsi. Ciò che ci ricorda Rosso cobalto, invece, è che proprio perché le tecnologie legate alla transizione sono fondamentali, è altrettanto fondamentale pretendere che le catene di approvvigionamento cui si affidano siano esenti da sfruttamento, devastazione ambientale, corruzione. Ed è per prima l'opinione pubblica a doversi mobilitare, in questo senso, perché siamo tutti coinvolti.
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