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  • Immagine del redattore Paolo Cosseddu

Il lato oscuro


C’è un famoso paradosso psicologico narrativo, quello per cui quando vediamo raccontare una storia di lotta fra una potenza e un gruppo di ribelli, in genere noi, come pubblico, tendiamo a schierarci con i ribelli, anche se in realtà, in quanto cittadini occidentali del cosiddetto primo mondo, dovremmo identificarci piuttosto nella potenza. Che peraltro, immancabilmente, è raffigurata come un oppressore: James Cameron una volta ha detto a George Lucas che, la prima volta che ha visto Guerre Stellari, ovvero la storia di un impero malvagio che cerca di estendere la sua stretta soffocante ovunque nella galassia contro un manipolo di ribelli che combattono una guerra asimmetrica, ha immediatamente pensato - rispettivamente - agli americani e ai vietcong. E Lucas gli ha risposto che quello era esattamente il suo punto di vista. John Milius, sceneggiatore e regista noto per le sue idee a dir poco radicali, in un’altra occasione aveva riflettuto sul fatto che, come noto, Guerre Stellari parte quando la storia è già a metà, senza che si sappia molto su chi sono i personaggi che vediamo sullo schermo, cosa ci fanno lì, perché combattono, ci viene solo fatto capire che l’impero è cattivo ma non ci viene mai spiegato perché, e aggiungeva che se lui si trovasse a vivere davvero in quel contesto, probabilmente starebbe proprio dalla parte dell’impero: una posizione sincera, se non altro. È un topos narrativo che si trova ovunque, e chi ha visto la più recente trasposizione di Dune in cui è impegnato Denis Villeneuve si sarà reso conto, anche senza conoscere il romanzo, che gli Arkonnen potrebbero facilmente essere sostituiti da una qualsiasi compagnia petrolifera, una delle nostre in quanto occidentali, e questo non ci impedisce di parteggiare per i Fremen. Solo i western tradizionali, per decenni, hanno insistito nel dipingere i nativi americani come i cattivi della storia e le Giubbe Blu come forze del bene, ma è almeno mezzo secolo che quell’impostazione è stata messa in discussione, con buona pace del mito della frontiera.

 

La contraddizione risiede nel fatto che, di tanto in tanto, ci piace ricordare a noi stessi di essere democratici, e quindi facciamo fatica a identificarci con le forze del male. Se siamo democratici, le nostre azioni devono per forza di cose esser votate al bene. Questa convinzione, però, viene periodicamente messa alla prova dalle azioni concretissime dei nostri governi, specie quando devono difendere i propri interessi (che poi sono anche i nostri) “in una galassia lontana lontana”. Ma, per quanto forte batte il tamburo della propaganda, sempre più gente sembra non essere più disposta a bersi le semplificazioni, le bugie, le estremizzazioni. Se chi ci governa avesse davvero a cuore le regole democratiche di cui tanto ci piace vantarci, però, dovrebbe semplicemente prendere atto del fatto che ebbene sì, esiste il dissenso. Esiste chi non è d’accordo, che la guerra diventi un argomento troppo facile. Se si inizia a sostenere che dobbiamo armarci sempre di più, che non c’è risposta alternativa alle minacce del momento, che si è “con noi, o contro di noi”, e che dobbiamo fare tutto questo per difendere i nostri valori democratici, non si tiene conto del fatto che tra quei valori quello forse più importante di tutti è il dissenso. Sono le tirannie, quelle che odiano il dissenso, le tirannie hanno bisogno di un controllo continuo, estenuante, su tutto ciò che le circonda, e tra l’altro è proprio questa tensione continua, che finisce sempre per spezzarle.

 

Non ha nemmeno importanza, discutere le idee di chi pensa di voler ridurre le spese militari, o di chi va a protestare nelle università, non importa cosa ne possiamo pensare personalmente, fa parte dei loro diritti e tanto basta, anche perché di certo non mancano esponenti politici, istituzioni e media che sono schierati dalla parte opposta e finiscono per controllare gran parte dell’informazione. Non c’è quella che qualcuno arriva a definire “un’egemonia” del dissenso, al contrario se rischia di esserci un pensiero unico è proprio quello più istituzionale, e semmai è estremamente sano e vitale per la nostra società che qualcuno lo metta in discussione anche aspramente, pur esprimendo idee che a volte possono non piacerci, perché la democrazia è così, è faticosa, ci mette alla prova, accetta le sue contraddizioni. Se davvero vogliamo continuare a raccontarci e a raccontare al mondo intero che modello siamo, e quanto superiore sia il nostro stile di vita democratico, pensare di affrontare tutti i prossimi appuntamenti elettorali sostenendo che la guerra e la spesa militare sono le uniche strade percorribili, e che chi non è d’accordo è un traditore, questo non solo non rafforzerà la democrazia, ma al contrario ci porterà direttamente tra le braccia della tirannia. O, se preferite, del lato oscuro.

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