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  • Immagine del redattoreGiuseppe Civati

La filigrana del generale



Ne ha già scritto qui Francesco Foti, in relazione al testo da lui tradotto e curato Negazione, uno dei libri più preziosi che People abbia mai pubblicato.

Le cose che dice e scrive il generale Vannacci – oggi sul Corriere della Sera in una intervista infinita – hanno, in effetti, un unico pregio: esasperare le posizioni, più o meno dichiarate, della destra che governa il Paese e i suoi dintorni (cit.), rendendo più comprensibile un aspetto non secondario: dove stiamo andando a parare.

Sul fascismo, dice che è morto e che però se non elogia Mussolini dissimula le sue idee (sic). Afferma, senza alcun riguardo, che si prova «fastidio» per l’«ostentazione» delle persone omosessuali – su cui peraltro azzarda teorie scientifiche del tutto infondate. Se la prende con una lobby che è anche una regia e insomma un complotto, in un passaggio a dir poco vertiginoso:

«Vogliono destrutturare la società, perché una società destrutturata è più facile da guidare. Vogliono sfasciare la famiglia, anche perché i singoli individui consumano di più...».

«Ma vogliono chi?», chiede Cazzullo.

«I gruppi di potere. Le lobby. I gruppi di pressione sui vari temi, dai gay all’ideologia green. Ma se abbattiamo le statue di Cristoforo Colombo, se ci vergogniamo delle nostre radici, dei nostri eroi, della nostra identità, addirittura del nostro progresso demonizzato come inquinante, saremo spazzati via. L’Occidente sarà sopraffatto. Perché il resto del mondo, la Russia, la Cina, il mondo arabo, va nella direzione opposta».

Una lobby che va dai gay agli ecologisti, che dobbiamo supporre essere coordinati tra loro (Meloni ebbe a dire cose analoghe in occasione dei suoi due comizi a casa degli amici ultrà di Vox, in Spagna).

La scelta della Cina e della Russia come modelli con però l’invito – totalmente contraddittorio con quei modelli – a opporsi a una società che sarebbe più facile da guidare, anche se poco dopo, il generale difende l’autoritarismo, in modo dichiarato, dichiaratissimo:

«La democrazia deve rispondere ai bisogni dei cittadini. Gli antichi romani in tempo di crisi trasformavano i consoli in dittatori, sino al ripristino della normalità. Nelle crisi le dittature tendono a essere più efficienti. Per questo dobbiamo dare alla democrazia gli strumenti per affrontare le emergenze».

Il premierato, insomma, è solo il primo passo, qui si vaneggia democrazia sospesa e di stato di emergenza con una certa noncuranza.

Infine, gli stranieri, che non saranno mai proprio italiani italiani, ribadendo le già oscene considerazioni su Paola Egonu contenute nel libro precedente (sì, perché Vannacci ne pubblica un altro, in uscita per una casa editrice del gruppo Mondadori). Lo abbiamo sentito dire, in modo diverso, da molti altri, rispetto a chi è considerato straniero per sempre.

Tutte cose che i leader della destra di governo hanno detto in parte o in toto, nel corso degli anni, comiziando a destra e ancora più a destra. Vannacci è il punto più avanzato della deriva ma non è un alieno rispetto alle personalità “istituzionali”: sono argomenti spesso pre-politici che hanno sostituito le argomentazioni politiche, che corrispondo a pulsioni e a riflessi che nella nostra società sono cresciuti, nel tempo, con l’arretramento delle categorie della politica. E con lo sdoganamento – parola che ha dato inizio a un’intera stagione – di ciò che forse si pensava ma si aveva qualche pudore a trasformare in una proposta politica che ha i tratti della “missione”.

Se il generale fosse isolato e rappresentasse un’eccezione, sarebbe un fenomeno di costume. Inquietante quanto si vuole ma con effetti limitati. Il generale non è solo: ha molti lettori che condividono ciò che sostiene e molti colleghi, ancora più rappresentativi, che sono tutto sommato d’accordo con lui. E questo è il problema.

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