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  • Immagine del redattoreStefano Catone

La stagione della caccia allo scafista



A giudicare dai comunicati e dalle notizie date dalla stampa, il governo sembra aver inaugurato una nuova stagione della caccia, quella allo scafista/trafficante. Due figure che, nella retorica della presidente Giorgia Meloni, coinciderebbero. Lo scafista è il trafficante, e il trafficante è lo scafista.

«Quello che vuole fare questo governo è andare a cercare gi scafisti lungo tutto il globo terracqueo», ha dichiarato ieri per annunciare la norma. Un annuncio pieno di retorica e vuoto tanto di senso pratico quanto di consapevolezza del fenomeno.


Scafista e trafficante sono figure differenti, così come l'esperienza ormai ultraventennale con gli arrivi via mare avrebbe dovuto insegnarci - e insegnare a coloro che ne hanno fatto il principale tema di discussione pubblica. Lo ha spiegato bene la giornalista Eleonora Camilli su Twitter: «In ogni viaggio vengono identificati scafisti. Per il naufragio di Cutro sarebbero 5 (uno ha 17 anni). Spesso sono migranti, i trafficanti gli affidano l'imbarcazione in cambio del viaggio gratuito. Non fanno parte della rete. Ma lo scafista lo prendi e puoi rivendicare pugno duro». Altra cosa, invece, è andare a cercare i  trafficanti «lungo tutto il globo terracqueo», infatti «Spesso sono gli stessi governi a non volerlo fare, perché se vuoi "fermare le partenze" è con loro che devi parlare e trattare. La Libia insegna». La Libia insegna che i trafficanti non si imbarcano, ma organizzano e gestiscono le partenze dalla terraferma. E la Libia insegna che, in contesti instabili, ci vuole un attimo perché un trafficante diventi un riferimento istituzionale, magari con compiti di controllo e sicurezza dei confini, che capita si traducano in gestione di centri di detenzione e tortura.


Ben venga, quindi, la lotta ai trafficanti, ma a partire dall'avere chiaro le differenze tra scafista e trafficante. Una distinzione che aiuterebbe a far risultare meno propagandistiche le misure annunciate al governo. Detto ciò - al netto anche della annunciata piccola apertura rispetto ai permessi per lavoro -, persone continueranno a partire, a imbarcarsi, a imbarcare i propri figli, spinti dalla disperazione e dalla paura. Smetterla di fare la guerra alle Ong potrebbe essere un primo segnale pratico di un reale cambiamento.

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