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  • Immagine del redattoreLaura Campiglio

Se Giorgia Meloni "s'ammoscia"



Una va al bar a bere un caffè, scrolla il telefono pensando ai fatti propri e poi alle sue spalle sente una voce che fa: sì, però la Meloni s’è ammosciata.

Una pensa di aver capito male e tende l’orecchio: no no, la voce intende proprio dire che Giorgia Meloni si è eccessivamente addolcita, ha perso mordente, è diventata - testuale - troppo moderata.

Una allora strabuzza gli occhi e pensa: ohibò. Ohibò, in un momento in cui l’Europa tutta ci guarda con apprensione perché siamo a tanto così dal mandare al governo la beniamina dei neofascisti e mentre Meloni stessa tribola per rassicurarci del fatto che lei non è più quella del ’96 (grazie: pure il fascismo non è più quello del ’38), eccoti qualcuno che non solo le crede ma pensa che qui si stia esagerando, cos’è tutta questa moderazione, dove sono i saluti romani.

E allora cosa fa una che improvvisamente non ha più voglia di finire il caffè? Ovvio: si volta a sbirciare chi mai qui, in questo bar di Pontinia in cui ha avuto la ventura di capitare (piano a tirare conclusioni sull’agro pontino, che il 4 settembre a Latina la sinistra ha vinto per la terza volta contro un ex missino), abbia potuto proferire la surreale sentenza.

E, sorpresa, una si può anche ritrovare davanti una tizia normalissima - età apparente trenta e qualcosa, jeans e maglietta, no tatuaggi strani, no aria truce da pasionaria nera - che chiacchiera tranquilla con un’amica al tavolino del bar, e da lì recisamente ribadisce: s’è ammosciata.

Va da sé, una a questo punto si mette a origliare per bene, e scopre che l’episodio incriminato è il comizio di Cagliari, in cui Meloni contestata da un attivista Lgbt ha dato ai presenti una fulgida dimostrazione di tolleranza nel significato letterale del termine: la paziente sopportazione di qualcosa di sgradito. Una postura di nuovo conio che potremmo definire discriminazione gentile (in soldoni: mica devo insultarti o aggredirti per negare i tuoi diritti, posso farlo stringendoti la mano e addirittura chiamandoti un applauso) così furbescamente efficace che alcuni maligni - io, per esempio - hanno pensato a un siparietto concordato acciocché quest’immagine di una nuova Meloni più rassicurante, con quell’inedito piglio da maestra d’asilo, andasse a rimpiazzare quella che al comizio di Vox inveiva con foga grandguignolesca contro “la lobby Lgbt”.

Ed è lì che a una può capitare di sentirsi irrimediabilmente scema. Perché fino a prevedere che Meloni avrebbe tentato di rendersi presentabile ripulendo il proprio linguaggio e per quanto possibile il proprio passato dal ciarpame fascistissimo che pure finora ha fatto parte della sua estetica, della sua retorica e della sua formazione, ecco fin lì ci si arrivava facile. E non ci voleva molto neanche a capire quanto quest’acrobatica operazione di cosmesi politica fosse intrinsecamente pericolosa: a destra non sono pochi quelli che a votare la Meloni di Vox qualche scrupolo se lo farebbero, mentre la Meloni di Cagliari, così urbana e così civile, la voteranno serenamente. Quello che magari una – per dire l’ingenuità, a volte – non aveva considerato è che questo riposizionamento nel segno di una falsa moderazione potesse scontentare una base che rimpiange i boia chi molla, le cene fasciste (“goliardiche”, come no), i deliri tonitruanti della Meloni dei bei tempi andati. Che insomma potessero esserci dei nostalgici del neofascismo dichiarato come ci sono nostalgici del ventennio. La buona notizia per costoro è che c’è poco da essere nostalgici: la Meloni ragazzina che nell’ormai lontanissimo ’96 sbandierava la propria ammirazione per Mussolini non tornerà, ma quella di Vox, quella di dio, patria e famiglia, quella orgogliosa della fiamma è invece saldamente ancorata nel nostro presente (e, c’è il rischio, anche del nostro futuro).

Folgorata da questa triste epifania di fine estate, una si avvia mestamente alla cassa, giusto in tempo per cogliere quest’ultimo scambio di battute:

Ma ‘nsomma la voti?

La voto sì, più a destra di lei non ci sta nessuno.

Nessuno a parte i suoi elettori, ovviamente.

Ossigeno

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