Sarà il caldo sahariano, che provoca miraggi, saranno insolazioni che confondono la mente, e sarà per questo che di solito è saggio non far campagne elettorali agostane, ma il dibattito nel centrosinistra è monopolizzato da due questioni prese per vere che invece consiglierebbero, come ripete ogni anno Studio Aperto, di stare all’ombra, bere molta acqua eccetera.
Prima, il reale peso di Calenda e delle varie – andrebbero censite, se ci fosse il tempo – formazioni centriste. Ieri un sondaggio “rivelava” che Italia Viva di Renzi è all’1 per cento. Che poi si sa come vanno queste cose, si parte all’1 e si finisce allo 0,5. E tutti a commentare “sai che scoperta”, ok. Ma allora perché occupa uno spazio del dibattito pubblico di almeno dieci volte superiore? Per l’abilità del suo leader di dire cose che fanno prudere le mani, certo. Ma ci dev’essere dell’altro. L’aggregazione centrista, scriveva ieri Lorenzo Pregliasco di YouTrend, è “generalmente sopravvalutata da media e "bolla" rispetto al consenso reale”. Successe anche nel 2013, quando Monti era partito col vento in poppa e 10 punti potenziali, e poi le cose andarono molto diversamente. A Calenda, a cui vengono dati dai 4 ai 20 punti a seconda della persona a cui lo chiedete, magari andrà diversamente, ma la storia dice che in elezioni molto polarizzate chi non sta in uno dei due blocchi viene schiacciato, ma in compenso contribuisce a far perdere la coalizione con cui avrebbe potuto allearsi. Varrebbe anche per i partiti che stanno a sinistra del Pd, ma quelli nessuno li sopravvaluta: per qualche ragione – ehm – i partiti centristi sono in genere molto più coccolati dai grandi media generalmente di proprietà di gruppi dei quali difendono gli interessi, e hanno mezzi economici notevolmente più ampi su cui contare.
La seconda allucinazione è tutta interna al dibattito della sinistra-sinistra la cui base chiede a gran voce un’alleanza con Conte. Che Conte non vuole fare, e già qui ci sarebbero gli estremi dello stalking. Ma l’aspetto interessante è politico, perché si porta come motivazione l’impossibilità di stare con chi candida la Gelmini o chi come lei ha fatto cose effettivamente pessime quando ha governato, e di cui non è possibile ipotizzare un ravvedimento, mentre i decreti sicurezza entusiasticamente sposati da Conte quando governava in perfetta sintonia con Salvini invece quelli non pesano. Quest’idea di un M5S progressista, che poteva avere senso fino a due legislature fa, o almeno finché effettivamente non hanno iniziato ad avere qualche responsabilità, è stata ed è molto sostenuta in ambienti progressisti che vanno da Bettini a Bersani, e siccome una cosa tira l’altra si è trasformata nella convinzione che Conte possa fare il Melenchon italiano. Facendo finta di non vedere che la caratteristica principale del Mov non è il progressismo, bensì il trasformismo: oggi qui, domani lì, a seconda di cosa conviene, e infatti già si parla di avvicendamento tra Conte e Dibba che malgrado la biografia avventurosa non è esattamente Che Guevara. Il punto è che nessuno può dire cosa sia il M5S, e soprattutto cosa sarà domani, lo dice la sua storia per quanto recente, e abbracciarlo non solo è rischioso dal punto di vista politico, ma farlo da junior partner, in posizione di eclatante inferiorità, significa venire schiacciati: quanto mai potrebbe davvero pesare Potere al Popolo in coalizione con i grillini, per dire, e soprattutto, perché qualcuno dovrebbe votarlo, sapendo che così non eleggerà un compagno o una compagna, ma più probabilmente qualcuno scelto con pochi click e delle cui idee nulla si sa?
Allucinazioni, dicevamo. Anche portate dal panorama non certo edificante, certo. Ma è meglio darsi una rinfrescata, e schiarirsi le idee.
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